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Storia, Uomini e luoghi

Il Comune dedica una strada a Leonardo Centrone

La decisione presa dalla giunta comunale all’unanimità

Il sindaco Valente: «Giusto riconoscimento per un imprenditore esemplare»

Una strada di Gravina in Puglia prenderà il nome di Leonardo Centrone, figura di spicco dell’imprenditoria cittadina del Novecento.

La decisione, adottata all’unanimità dalla giunta municipale presieduta dal sindaco Alesio Valente, stabilisce di ribattezzare col nome dell’imprenditore gravinese – d’intesa coi suoi familiari - una delle traverse di via Brunelleschi. Nato a Grumo Appula il primo Giugno del 1900, Centrone operò a lungo e principalmente a Gravina: imprenditore ed inventore, ideò e costruì una macchina per tagliare i tufi, unica realtà di quei tempi in tutto il comprensorio murgiano. Pur potendo investire in strutture teatrali a Napoli e Bari, preferì realizzare – tra il 1945 ed il 1947 - un cinema teatro dalla capienza di quasi 2.000 posti a sedere a Gravina. Inoltre, fu uno dei primi autisti di autocarri in Puglia e con Calabrese e Romanazzi realizzò il primo autotreno. Ancora: per evitare che i contadini fossero costretti a svendere i prodotti della terra, costruì un molino e realizzò una motrice per il carico alla rinfusa del grano duro, principale cultura del territorio. Un ingegno ed una laboriosità smisurati, coltivati nel terreno dell’umiltà: non brevettò mai le sue invenzioni, lasciando che tutti le potessero utilizzare, specie per alleviare le fatiche degli operai che non a caso, dopo la morte sopraggiunta la vigilia del Natale 1985 a Gravina, parteciparono uniti e commossi ai suoi funerali. «Centrone – commenta il primo cittadino – può essere considerato, a pieno titolo, un imprenditore esemplare. Ricordarlo vuol dire lasciare tributare il giusto riconoscimento all’operosità ed allo spirito di iniziativa profusi per la città e la comunità di Gravina».

Gravina in Puglia, 1 Luglio 2019

Ufficio Stampa

Comune di Gravina in Puglia

IL PONTE VIADOTTO ACQUEDOTTO FONTANA LA STELLA(VI PARTE)

Terminiamo la pubblicazione di notizie storiche relative al Ponte viadotto Madonna della Stella, forniteci dal prof. Fedele Raguso.

Ci auguriamo possano averci fatto prendere contezza del patrimonio che ci è stato tramandato e che dobbiamo obbligatoriamente tutelare e salvaguardare:

Occorreva liberare dal limo arenoso le due canale di scolo per poi  spaternarle dalle stratificazioni saline che l'ingombrano; rialzare a livello perfetto il pavimento dell'acquedotto in pezzi di cozzaroli, ribassati nel n¡ di 1500, facendovi sotto il masso e cementando le sconnessure con calce e polvere di tegoli, o cenere di fornace; sgombrare dal limo quella metà del cilindro utile a far camminare di lato un uomo per la manutenzione delle  due canali  che vi correvano dentro; riattare la faccia interna dei muri dell'acquedotto nei punti dove l'acqua si disperdeva filtrando; trovare rimedio all'acqua che usciva fuori e gocciolava sul muro che faceva riparo a sud sul ponte.

Per proteggere il percorso esterno dell'acquedotto occorreva fare un contromuro di tufi a secco con terrapieno a scarpa  per coprire e sostenere il muro dell'acquedotto scoperto e minaccioso di caduta; era urgente realizzare un selciato rustico per coprire l'estradosso della volta dell'acquedotto, i cui tufi erano bastantemente logorati pel calpestio d'uomini e di animali, che vi camminano sopra; si dovevano riaprire 30 bocche di sfiatatoi  ostrutte, dotandole di telaio di mazzaro e lapide; erano opportuni restauri alla botte vicino al paese, la  nettatura e ristauri del pilone o vasca per gli animali come pure la  nettatura e ristauro alle vasche aderenti all'abitato; vicino a queste poi c'era una cloaca  le cui immondezze si han fatto strada attraverso il masso di tufo, e corrompono le acque, motivo per cui era necessario svuotarla.

La spesa totale, comprensiva di onorario dell'architetto, fu di ducati 1.136,46.

Le vicende della «fontana la Stella» sono numerose e costanti nel tempo, tanto  è  vero che a distanza di circa un ventennio, nel 1883, si trova documentato l'intervento di Adolfo Cagiati , ingegnere comunale, che previde, nel suo progetto ai fontanili, una nuova condottura in tubi di argilla lungo la spalliera del ponte per la larghezza di m. 110, ma volle anche rinforzare la portata della fontana con l'allacciamento delle acque di Lamascesciola, mediante un canale lungo m. 710 (dai pozzi in Lamascesciola fino al fontanile), largo m. 1,50, alto mediamente m. 2, 20.

Questa nuova struttura, ovviamente, comportò anche una serie di lavori di scavo, muratura, canaletti, boccagli, selciato perché tenesse nel tempo, ma soprattutto assicurasse sempre più acqua alla popolazione che era pronta a lamentarsi, a reclamare a giusta ragione.

Gli interventi di manutenzione e restauri non si fermarono al 1883, continuarono in modo sistematico sino all'introduzione della rete idrica dell'Acquedotto Pugliese, che limitò l'utilizzazione per gli usi umani e si ridusse, prevalentemente, a servire gli abbeveraggi degli animali e ai lavaggi delle lane per i materassi delle giovani spose.

PONTE VIADOTTO ACQUEDOTTO FONTANA LA STELLA (III PARTE)

Vicissitudini dell’intera complesso dell’acquedotto-fontane

Il ponte col suo acquedotto, dopo pochi anni risultò destabilizzato e necessitava di urgenti lavori di consolidamento e restauro. Il Comune chiese l'intervento del signor Nicola Scodes, architetto di I classe delle acque e strade, funzionario della Provincia di Bari, che dopo aver visitato le strutture del ponte e fontane elaborò un progetto molto complesso, affidando all'architetto Giannuzzi di Altamura la direzione dei lavori. Quest'ultimo il 10 ottobre 1840 presentò un progetto esecutivo corredato di relazione indicante interventi e costi: ducati 4.787 per materiali e lavori; ducati 70 per onorario di progettazione. In sostanza, si trattò di un lavoro di ampia portata, che vide l'abbattimento di strutture crollate, gravemente rovinate per un ripristino ed una integrazione efficiente del ponte-viadotto. Si restaurarono la «spalla» del ponte verso l'abitato con pezzi di «pietra tufa denominata cozzarolo», i 4 piloni con le 4 volte poggianti su di essi. Per la realizzazione di queste ultime occorse una forma in legno e un taglio preciso dei cunei degli otto frontoni; per dare maggiore solidità alle 4 volte furono usati i «quadroni» al posto dei pezzi ordinari (di pietra) indicati nel preliminare progetto dell'architetto Scodes, nel n¡ di 2000, il cui costo per il taglio e trasporto fu il doppio, per lo scarico e la lavorazione a cuneo il triplo.

Il pilone rasente la corrente dell'acqua, su cui si adagiavano le volte delle luci del primo ordine delle arcate, fu restaurato con pezzi cozzaroli e tufi mescolati perchè rovinato da un secondo crollo. Inoltre, per evitare che questo pilone, molto più lungo e largo di quello superiore, fosse rovinato dall'acqua che poteva cadere dalla strada superiore, si provvide a rivestire di chianche, ovvero mappe di cozzarolo di prima mano il pilone superiore. Contestualmente a tale lavoro si eseguì quello di una parte della volta del primo ordine degli archi «superiore alla corrente dell'acqua» con il solito sistema della forma lignea prima, che comportò una spesa a sé per il trasporto del legname alla «profondità di circa palmi 130 a spalla d'uomo dal sito in cui potevansi avvicinare i traini».

Si rifece «la parapetta dell'occhio del secondo ordine superiore», e in particolare si ritenne conveniente chiudere la luce del sesto occhio dalla parte opposta all'abitato per assicurare maggiore solidità alle vecchie fabbriche superiori.

Si demolì e ricostruì la fabbrica vecchia di due lati della piccola botte dell'acqua, all'inizio dell'acquedotto che portava acqua al pilone al di sotto dell'abitato. Alla bocca della piccola botte fu adattato un boccaglio di mazzaro di un sol pezzo.

PONTE VIADOTTO ACQUEDOTTO FONTANA LA STELLA (V PARTE)

 

 

 

Nel 1855 ci furono urgenti alla sorgente Sant'Angelo che alimentava l'acquedotto «la Stella»; la perizia fu eseguita dall'architetto Casimiro Pansini, i lavori furono appaltati da Giacomo Gramegna per una spesa di ducati 248. 30.

Dopo 5 anni l'architetto Federico Lerario di Altamura, fu incaricato di fare un sopraluogo alla «fontana La Stella», stilò una relazione con distinta di lavori urgenti e spese da sostenere.

Il 21 giugno del 1860 il Decurionato approvò tutto: per i lavori urgenti riguardanti riparazioni interne dell'acquedotto approvò il metodo amministrativo sotto la vigilanza dei Deputati; per i lavori occorrenti nelle fabbriche e selciato, approvò l'appalto con farvi fronte dalle somme da ammettersi nello stato finanziario del 1861 destinate al mantenimento dei pubblici edifici.

Lo stesso architetto fece un progetto di lavori di restauro urgentissimi all'«acquedotto la Stella» dopo una attenta perizia all'opera pubblica sia nella sua struttura esterna che in quella interna. Infatti, riscontrò le ragioni per cui l'acqua sviava e si perdeva così che alle vasche presso il paese o non arrivava del tutto o pochissima «con molto malcontento della popolazione», che non finiva mai di alzare clamori. Al di là di tutto, Lerario sosteneva che i guasti dell'acquedotto erano determinati dal tempo e dalla mancanza di manutenzione, ragione per cui era accaduto che le due canali per le quali l'acqua deriva son colme di limo arenoso, ed in alcuni punti, per lunghi tratti, i sedimenti salini sonosi soprapposti a strati di tale densità, che occorre adoperare il piccone per sfogare la canale». Aggiungeva che il fondo di questo acquedotto è pavimentato di pezzi di cozzarolo, ... ed in essi son ricavate le due canali, ed è avvenuto che in molti punti, ove tre, ove quattro, ove più  dei suddetti pezzi si sono ribassati per difetto del suolo cretoso e l'acqua risiedendo in essi sfossamenti sempre più  si disperde. 

Se queste erano le cause interne, motivo principale del cattivo funzionamento dell'acquedotto erano quelle determinate dalla mano dell'uomo, poco saggia, non rispettosa dell'esigenza pubblica, alquanto egoista. Infatti, per lunghi tratti vi si cammina con cavalcature sopra l'estradosso della volta, e son consumati i tufi, in altri tratti vi si coltiva sopra il terreno, che lo copre, onde l'umido penetra e disfa la muratura. Vi son punti in cui è rotto il muro da contadini per derivarne l'acqua, i pozzi perduti tutti colmi, le bocche de' sfiatatoi chiuse a non essere servibili perché tolti via e rotti i telai e le lapidi di chiusura.

L'architetto Lerario, nell'accingersi a compilare un progetto di intervento, premise una sua nota di commento e di merito per l'Amministrazione Comunale, sostenendo che tutta la spesa prevista sarebbe andata perduta e l'opera sarebbe rimasta in breve tempo rovinata, se non fosse stato posto uno stazionario per manutenerlo quotidianamente e guardare l'acquedotto da danni che gli reca il villano.

Dal verbale di descrizione dei lavori eseguiti con relativi costi, si apprende che la lunghezza totale dell'acquedotto dalla sorgente fino alla botte, poco distante dalla vasca era di palmi 14.575.

PONTE VIADOTTO ACQUEDOTTO FONTANA LA STELLA (II PARTE)

L’entusiasmo suscitato dalla trasmissione di Giacobbo per aver presentato ad una platea nazionale la bellezza del patrimonio ambientale di Gravina, ripropone l’esigenza di far qualcosa al fine di tutelare quanto ci è stato tramandato e non permettere più che si debbano avere quei danni a seguito di autorizzazioni alquanto imprudenti. Per questo riteniamo utile continuare nel far conoscere le notizie storiche che riguardano il ponte viadotto:

La realizzazione dell’opera progettata fu affidata all'impresa del fontanaro Pasquale Mancino.

L'impegno di spesa fu assunto dal duca Domenico Amedeo Orsini, che anticipò la somma con l’intento di recuperare il capitale, con gli interessi del 5%. Per cui fu stipulato con l’ing. Di Costanzo.un vero e proprio contratto di mutuo da liquidare con rate annuali che il comune avrebbe versato sino all’estinzione del debito contratto con il duca Orsini.

L'opera idrica fu iniziata il 1743 ed ebbe diverse fasi di realizzazione. Il totale e definitivo completamento, collaudo e funzionamento avvenne tra il 1779 ed il 1781. Infatti, nel 1778 si festeggiò l'inaugurazione delle fontane, denominate l'una «Fontane la Stella» e l'altra «Fontana di Isola del Piano». Nello stesso giorno, però, si cominciava a protestare per la scarsa efficienza dell'acquedotto «Sant’Angelo-La Stella», per cui fu imposto all’impresa di provvedere al rifacimento e miglioramento dell'opera da consegnarsi entro il 1781.

  L’acquedotto sotterraneo partiva dalla sorgente «Sant’Angelo a Cavatore» e sfruttando il percorso di una preesistente canalizzazione, realizzata in epoche precedenti per servire l'insediamento rupestre della zona «Padre Eterno e Madonna della Stella», portava l'acqua alla cisterna di decantazione.

 Il ponte fu posizionato nel punto dove si restringeva la vallata della «Gravina» e dove trovavasi altra struttura di collegamento e sbarramento artificiale delle acque del torrente, utilizzate per il funzionamento di un mulino. Fu realizzato con due arcate alla base e quattro nella parte superiore, intercomunicanti tramite cunicoli a controvolta. Il viadotto sul piano delle 4 arcate superiori, a modello delle vie romane, ebbe una strada con selciato di chianche irregolari di pietra murgiana, che partiva dalla via che scendeva da Pietramagna e finiva presso Porta Aquila (oggi angolo via Vittorio Veneto – Via Garibaldi).

Il ponte misura una lunghezza di mt. 120 e alto 30 mt. circa, dal fondo del torrente. Ha un profilo concavo, protetto da due parapetti, uno alto cm 150 e l'altro cm. 300 . Quest'ultimo segue la concavità dell'intero viadotto e accoglie sulla sommità una condotta idrica di terracotta lunga mt. 130 circa, che parte dal serbatoio di decantazione e finisce nella vaschetta posta sotto le mura, dietro i boccagli della fontana.

La struttura fu progettata e realizzata concava, perché tale architettura permetteva di rilanciare l'acqua verso la posizione e fuoriuscita desiderata. Infatti, l'acqua veniva spinta per inerzia di pendenza dalla vasca di decantazione nella condotta, che andava alla prima fontana e, poi, in quella che la portava alla seconda con un moto di accelerazione, ricavata dalla conformazione concava del canale di portata e dalla variazione di diametro dei tubi.

 Il Di Costanzo, certamente, si rifece all'architettura idrica di Vitruvio, ingegnere e architetto romano. Creò un serbatoio di partenza (da noi chiamato di decantazione), posto in alto; un ventre concavo col parapetto più alto e dalla condotta idrica forzata di collegamento; un serbatoio di arrivo.

A Spoleto, città umbra, esiste un ponte viadotto-acquedotto simile a quello di Gravina, realizzato tra il XIII e XIV secolo dagli Orsini, signori della città. Quel ponte, denominato «delle Torri o Gattapone», dal cognome dell'architetto, è uno dei simboli della città, ha un solo ordine di archi che si elevano dal basso della vallata «grave» sino al viadotto, protetto da due parapetti, uno alto cm. 150 circa e l'altro mt. 3. Su questo è posizionata la condotta idrica. E' probabile che questo ponte sia stato, anche, modello architettonico per il progettista Di Costanzo.

PONTE VIADOTTO ACQUEDOTTO FONTANA LA STELLA (IV PARTE)

Era il 22 maggio quando il gruppo politico M5S dichiarava di aver fatto richiesta agli atti per avere contezza delle autorizzazioni rilasciate al fine di realizzare l’evento “LUMINA” avvenuto tre giorni prima. Ad oggi non abbiamo nessuna informazione, sono rimasti solo i danni procurati per il posizionamento della ruspa. Per non dimenticare continuiamo a pubblicare notizie storiche attinenti quei luoghi:  

Si restaurò il muro che formava «la parapetta» del ponte dalla parte occidentale, sopra la quale passava l'acquedotto; quest'ultimo fu coperto da pezzi cozzaroli lavorati «a baulle» e «messi continuamente per traverso la lunghezza della fabbrica su cui poggia».

Si rifece il basolato che formava il pavimento della strada che passava sopra il ponte restaurato; «per diminuire la forza delle scosse» che davano alle sottostanti fabbriche le vetture transitanti sul ponte e «per regolarizzare il piano al di sotto del ridetto basolato» si formò un riempimento di terra bianca ricavata dal lavoro dei tufi. Nelle parapette del ponte si crearono 8 aperture dalle quali poteva uscire l'acqua che cadeva sulla strada, esse erano munite di stipiti e architravi di mazzaro a mo' di finestrini; vi furono adattati 2 bastoni di ferro per evitare intromissioni dei ragazzi e dei piccoli animali transitanti sul ponte.

Per tenere a distanza dalla fabbrica sottostante alle suddette 8 aperture l'acqua che cadeva sulla strada, si adattarono dei canaloni di mazzaro.

In modo rasente alla «parapette» del ponte, furono sistemate le «scostarote» di pietra mazzaro, inserite nel selciato e sottoposto terrapieno.

Al pilone d'acqua, sotto le mura della città, si creò un divisorio per adibire una metà di esso agli animali da abbeverare e l'altra metà ai cittadini, che potevano attingere acqua con «langelle e barili.

Si fece, inoltre, opera di sollevamento dell'altezza della prima metà del pilone di rinforzo per impedire che il peso dell'acqua facesse crollare il muro di cinta, di agevolazione nell'attingere acqua con una scala di 2 gradini di mazzaro lavorato liscio.

Si ricostruì il pilone per uso lavabiancheria nel masso tufaceo, lungo palmi 24, largo palmi 7, alto palmi.

Per rendere più facile l'accesso al pilone sotto le mura, si aprì una seconda strada molto più breve rispetto a quella che proveniva dalla «porta Capuana», proprio dalla «così detta porticella». Sotto questa strada nuova si costruirono 2 piccoli occhi di ponte per far passare l'acqua di due strade interne, ed esattamente di «cavato S. Andrea e di San Giovanni Evangelista». La stessa strada fu munita di un selciato rustico, le cui pietre furono trasportate «dal fondo della Gravina a schiena d'asino, alla distanza di circa mezzo miglio, per via molto ripida e disagevole».

Come si può vedere i lavori di intervento furono di varia entità, investirono tutta la struttura monumentale e accanto a quanto è stato riportato sopra, si possono aggiungere tanti altri dettagli, compresi quelli del cantiere di lavoro.

PONTE VIADOTTO ACQUEDOTTO FONTANA LA STELLA (I PARTE)

Il 1735, in occasione della venuta di re Carlo III di Borbone gli amministratori di Gravina sottoposero alla sua attenzione diversi problemi finanziari e amministrativi, tra cui quello della sistemazione e pavimentazione delle strade e quello delle fontane pubbliche. Quest'ultime erano state progettate, ma si aspettavano le autorizzazioni alla spesa e, soprattutto, finanziamenti, che la civica amministrazione non aveva né poteva contare di avere dal regio governo. Necessitava uno sponsor che si impegnasse a sostenere i dovuti oneri.

Intanto l'Università, grazie alla venuta di re Carlo, aveva appianato i debiti con il regio fisco (aveva regolarizzato i suoi bilanci) e aveva anche accettato le nuove norme di gestione finanziaria, che la condizionavano a sostenere spese per opere pubbliche di una certa entità.

La sistemazione del bilancio comunale permise alla civica amministrazione di approvare finalmente il progetto del primo acquedotto, avviando le procedure per avere l'autorizzazione della regia Camera della Summaria.

Tra il 1735 ed il 1743 gli amministratori di Gravina si impegnarono alla realizzazione del primo acquedotto per le fontane presso la chiesa rupestre “Santa Meria la Stella “.

Nel 1743, su interessamento del marchese Mauri, presidente della Camera della Sommaria, l'Università ricevette autorizzazione a realizzare l'acquedotto con ponte viadotto per una spesa di ducati 8.000, che avrebbe anticipato il duca Domenico Amedeo Orsini.

Il progetto realizzato dall’ing. Giuseppe Di Costanzo prevedeva la realizzazione delle seguenti opere: un acquedotto sotterraneo che portasse le acque delle sorgenti di Sant’Angelo e San Biagio in un serbatoio di decantazione, posto sul ciglio più  alto del burrone della “ gravina “   nei pressi della chiesa rupestre Madonna della Stella; un ponte viadotto-acquedotto che avrebbe collegato la sponda della Madonna della Stella con la sponda opposta nei pressi delle mura e delle chiese rupestri di S. Maria degli Angeli e S. Andrea, dove si trovava una porta e dove confluivano due strade esterne provenienti da porta Aquila e la Porticella (Via Giudice Mondea); due fontane con pilacci e boccagli, una presso la Madonna della Stella per abbeverare gli animali, l'altra sotto le mura per lavatoi pubblici e per approvvigionamento urbano.

L’ingegnere Di Costanzo per l'opera monumentale si rifece all'architettura idrica romana dell’«opus quadratum» con ponte, a doppio ordine di archi dalla volta a botte, poggianti su pilastri quadrangolari, realizzati con tufo locale, scavato dalla massa tufacea sovrastante. Il trasporto dell'acqua dalle sorgenti alle fontane fu programmato con il sistema romano delle condotte forzate, mediante tubazione in terracotta con diametro che si assottigliava man mano che si allontanava dalla sorgente e si giungeva ai boccagli.