Storia, Uomini e luoghi
GUGLIELMO TOSCANO CONTE DI GRAVINA (1241-1251 ca.)
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27 Mag 2025
- Ultima modifica il Martedì, 27 Maggio 2025 07:26
- Pubblicato Martedì, 27 Maggio 2025 07:26
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Alcuni componenti della famiglia Toscano, giunsero nel Sud Italia unitamente ad altri rappresentanti di famiglie notabili dall’Italia settentrionale (per lo più dal Piemonte), stabilendosi nel regno di Sicilia fin dal secolo XII.
Lo storico e storiografo Eustachio Rogadeo (paleografo e diplomatista di Bitonto) occupandosi delle famiglie “ALERAMICI, DE SAY e TOSCANO”., scrisse, tra l’altro: “ … che tra i testimoni firmatari dell’atto notarile del settembre 1188, con cui Tancredi de Say, conte di Gravina, donò a monsignor Tommaso, vescovo di Gravina alcune terre del territorio gravinese, pro anima sua e dei suoi parenti defunti, si riscontra assai preponderante l’elemento subalpino, che nella città di Gravina aveva fiorentissima colonia: “… oltre a Leone Presco di famiglia (Preco) originaria di Asti, si trovano anche i suffeudatari gravinesi: Boemondo Foliarino e Pietro Tuscano. La famiglia Toscano non sarebbe che una delle tante diramazioni di quella famiglia Toscano dell’Italia Settentrionale stabilitasi , anche a Gravina…”-
Il barone Luca De Rosis occupandosi della famiglia Toscano di Rossano ebbe modo di scrivere: “Guglielmo fu il primo (della famiglia) che da Pisa, città della Toscana, si portò nel Regno (di Sicilia) nell’anno 1241 con l’esercito di Federico II, figlio dell’imperatore Arrigo IV, dal quale ebbe in feudo la contea di Gravina. Proprio lui il primo, che andò a fissare il domicilio in Cosenza”.
Federico II, prodigo riconoscente nei confronti di suoi sostenitori e difensori nella lotta contro il papato, il 1241 concesse a Guglielmo Toscano la città demaniale di Gravina nominandolo conte, per compensarlo del valido aiuto e fedeltà dimostrata durante la presa di Capua.
Questa nota storica ci è pervenuta da un’opera inedita della baronessa Maria Toscano di Rossano che scrisse: “… la concessione imperiale fosse stata fatta per atti di valore compiuti dal Toscano nella presa di Capua durante la lotta contro il Papato: “secondo quanto trovasi in alcuni documenti di famiglia”. La notizia, probabilmente, risponderebbe a verità, ma, Domenico Nardone, storico gravinese, afferma: né a Gravina, né negli archivi di Napoli sono stati trovati documenti relativi a questa concessione. Comunque l’investitura di Guglielmo Toscano la rileviamo dalle attestazioni storiche di Federico II e del figlio Manfredi, suo erede.
Alfredo Gradilone,, storico di Rossano, conferma nella sua storia che Federico II concesse a Guglielmo Toscano la contea di Gravina, il cui dominio feudale di conte di Gravina non dovette avere lunga durata perché, con la morte dell’imperatore (dicembre 1250), il feudo di Gravina fu ereditato da Manfredi per disposizione testamentaria di suo padre Federico II. Quest’ultimo concesse a tal Guglielmo il Grosso di Laurenzana (PZ), suo fedele collaboratore.
Il barone Pietro Toscano, fu il capostipite della sua famiglia immigrata a Gravina, giunto al seguito de marchese Bonifacio d’Incisa, a cui re Ruggero concesse la contea di Gravina.
La residenza e presenza di Pietro Toscano in Gravina è attestata da un atto di donazione datato, Gravina settembre 1188, col quale il conte Tancredi de Say, figlio ed erede di Riccardo, donò a Tommaso, vescovo di Gravina, alcune terre del territorio gravinese. Pietro Toscano, infatti, figura tra i testimoni e firmatari di quella donazione.
Sappiamo con certezza che i discendenti di Pietro erano ancora presenti a Gravina nel XIII secolo come ci informano i seguenti documenti: atto con cui Giovanni Toscano nell’ottobre 1284 si aggiudica l’appalto della gabella della baiulazione; Regio assenso concesso a favore del notaio Angelo de Pomarico col quale può acquistare dal barone Giovanni Toscano un feudo in territorio gravinese.
Alcuni componenti dei Toscano di Gravina si trasferirono a Cosenza e, successivamente, a Rossano, dove si insediarono e proliferarono nel tempo con successi sociali, istituzionali ed economici. Ancora oggi si trovano a Gravina, a Cosenza e a Rossano discendenti degli antenati Toscano presenti nel sud Italia dal secolo XII.
Prof. Fedele Raguso
GIOVANNI DI MONTFORT, CONTE E SIGNORE DI GRAVINA DAL 1289 AL 1300
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22 Mag 2025
- Ultima modifica il Giovedì, 22 Maggio 2025 04:45
- Pubblicato Giovedì, 22 Maggio 2025 04:45
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Giovanni Monfort, il padrino che richiamò in auge la Fiera “San Giorgio” dal torpore in cui l’avevano relegata i Normanni e gli Svevi.
Egli si adoperò per la riqualificazione delle mura, dell’ormai sconfinata Isola del Piano, della realizzazione del nuovo Castello e per l’abbandono del vecchio castello donato alla Mensa Vescovile che lo trasformò in Episcopio; nacque nella Francia meridionale tra il 1259 e 1260 da Filippo II signore di Castres, e da Jeanne de Lévis-Mirepoix.
Fu Carlo I d’Angiò a presentarlo come suo familiare e consanguineo nel diploma redatto a Napoli il 24 gennaio 1271, con cui gli assegnò il titolo di Conte e la terra di Geraci in Sicilia, unitamente ai feudi di Gangi e Castel di Lucio.
Nello stesso anno, re Carlo concesse altri feudi a suo fratello Simone e con tali donazioni volle attestare la massima riconoscenza al loro padre Filippo, che gli era stato valido collaboratore durante la conquista del Regno di Napoli, morto pochi mesi prima, durante la crociata contro Tunisi.
Nel luglio dello stesso anno, Giovanni conseguì la contea di Squillace con i feudi di Soverato e Satriano in Calabria, in cambio dei feudi siciliani ricevuti precedentemente.
Il 1273 fu insignito del titolo di Camerario del Regno, che lo mantenne sino alla sua morte. Tale carica onorifica lo impegnava a curare la persona del re e la sua famiglia per cui riceveva consistenti guadagni finanziari e massimo rispetto dei sudditi angioini.
Nel 1275 Giovanni sposò Margherita, figlia primogenita di Pietro di Beaumont, potente Camerario del Regno, che gli portò in dote la contea di Montescaglioso, con i feudi di Camarda, Pomarico, Craco, Uggiano e Montepeloso.
Da Margherita, purtroppo, non ebbe figli, per cui morì senza eredi e tutti i suoi feudi furono devoluti al Regio Demanio ad esclusione della contea di Montescaglioso appartenente alla moglie.
Nel corso degli anni gli furono attribuite funzioni più importanti in materia di fortificazioni e manutenzione delle difese regie, nonché il comando di operazioni militari destinate a contenere l’avanzata delle forze siculo-aragonesi in Calabria, dopo la rivolta dei Vespri del 1282.
È molto probabile che durante il governo del feudo gravinese sia stato impegnato a rinforzare la difesa della cinta muraria della Civita e, soprattutto, la costruzione del nuovo castello.
Il 6 gennaio 1285 Carlo I, nel dettare le sue ultime volontà, nominò Montfort Capitano Generale del Regno con il compito di affiancare il reggente Roberto d’Artois fino alla liberazione del figlio Carlo II, prigioniero degli aragonesi, questi quando divenne re, volle al suo fianco il Montfort e si avvalse per trattare la pace nel Regno (1289), che gli doveva rendere liberi i tre figli, lasciati in ostaggio presso gli Aragonesi, e placare gli animi esasperati di nemici e sudditi.
Monfort, durante il regno di Carlo II, fu uno dei più validi ed utili ufficiali della corona e mantenne un ruolo importante nell’amministrazione del Regno. Fu sempre impegnato nella difesa del confine calabrese, per cui restò lontano dalla corte per lunghi periodi.
Il 15 agosto del 1289 Giovanni di Monfort già conte di Squillace e di Montescaglioso, fu infeudato nella contea di Gravina.
Il documento di investitura fu indirizzato al Secreto di Puglia, affinché assicurasse al Monfort il reale e completo possesso della terra di Gravina e facesse prestare giuramento di fedeltà a tutti gli uomini di detta terra. Il Secreto ebbe ordine che, dopo aver espletati gli atti di assegnazione, giuramento ed assicurazione, doveva far stilare da un notaio tre copie del pubblico atto di donazione: la prima da dare al neo conte, la seconda da conservare nella Segreteria di Puglia, la terza da inviare alla Regia Camera.
La concessione a favore di Monfort fu accompagnata dalla prescrizione più rigorosa con l’inserimento della clausola per la osservanza degli “Usi Civici”, perché non erano stati rispettati e onorati dai precedenti feudatari Belloioco e Burcardo, predecessori, inadempienti, che provocarono continue contestazioni accompagnate da suppliche al re, affinché intervenisse per assicurare la giusta applicazione delle antiche consuetudini.
La reale consistenza del patrimonio demaniale affidato a Monfort si rileva da preziosi documenti, stilati dopo la sua morte. In essi fu registrato l’inventario dettagliato dei diritti, dei beni, del denaro e delle terre, riacquisiti dalla Regia Curia, poiché il conte non aveva eredi.
Prof. Fedele Raguso
L’ANTIMILITARISTA GIACOMO MATTEOTTI
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02 Gen 2025
- Ultima modifica il Giovedì, 02 Gennaio 2025 06:05
- Pubblicato Giovedì, 02 Gennaio 2025 06:05
- Scritto da Vincenzo Varvara
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Ieri si è celebrata la 58^ Giornata Mondiale per la Pace, istituita da Papa Paolo VI nel 1968, ma già nel 1906 Giacomo Matteotti ebbe a dire: “Vi è stato detto, è vero, che i vostri dolori troveranno una ricompensa al mondo di là. Noi non sappiamo dove e se quest’altro mondo ci sia. Ma non crediamo questa una buona ragione per rinunciare a un po’ di paradiso in questo mondo nel quale viviamo e sulla cui esistenza nessuno può dubitare”.
In più occasioni è possibile riscontrare il pacifismo di Matteotti, durante la prima guerra mondiale fu determinato ad opporsi a qualsiasi intervento bellico e la sua posizione rimase costante anche di fronte alle pressioni dei suoi compagni socialisti, divenuti interventisti.
Nell’ottobre 1923, a guerra finita, avvertendo il pericolo di un aumento dei nazionalismi, forieri di militarismi e imperialismi, scrisse che “la causa prima di tutte le sofferenze è stata proprio la guerra e la politica bellicosa dei nazionalismi”.
L’episodio di violenza subito da Matteotti nel Polesine evidenziò il suo coraggio e la sua determinazione, nonostante le minacce e le aggressioni subite, rimase fermo nei suoi principi. La sua serenità di fronte alla violenza fascista dimostrò la sua forza morale e la sua dedizione alla non violenza.
Insomma Giacomo Matteotti rappresenta un esempio di come il pacifismo e la non violenza possano essere strumenti politici potenti nella lotta per la giustizia sociale. La sua vita e le sue azioni ci invitano a riflettere sull’importanza di costruire un “po’ di paradiso” nel nostro mondo, affrontando le ingiustizie e le violenze con coraggio e con determinazione, senza mai rinunciare ai principi di pace e di solidarietà.
La sua preziosa eredità deve continuare ad ispirare coloro che lottano per un futuro migliore, liberi dalla guerra e dalla violenza.
“CASTRUM CIVITATIS GRAVINAE ” CIVITA (Nuova città) DELL’ISOLA DEL PIANO
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04 Mag 2025
- Ultima modifica il Domenica, 04 Maggio 2025 16:01
- Pubblicato Domenica, 04 Maggio 2025 16:01
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Il prof. Fedele Raguso ha ricostruito la "Storia della Civita fortificata" che prese l'appellativo di "Città della Gravina" oscurando definitivamente l’ "Antica Urbs Sidion-Silvium" sorta sulla collina "Pietramagna": “ insediamento urbano storicamente famoso e più volte distrutta dai Romani il 305 a.C. e, successivamente, smembrato e rasa al suolo dalle incursioni barbariche tra il terzo e quarto secolo dopo Cristo.
La nuova "Ciivitas della Gravina" fu costituita dai sopravvissuti "Sidini-Silvini " raggruppatisi nella “Valle della Gravina” naturalmente fortificata dal kanion e dalle impervie lame.
Tra “la Gravina e la “Piana dell’Isola del Piano” si ricostituì l’antica "POLIS Sidinon-Silvium" che, oggi, si chiama Gravina.
“ CIVITA ” fu il sinonimo dell’antica Sidinon - Silvium, che si connotò come “Castrum con Castello” fortificata, situata sull’aspro altopiano, esteso 5 mila metri quadrati (circa). Detto altipiano fu denominato “Isola del piano”, costituito da un pianoro protetto dalla “Valle del Torrente Gravina”, con il “Canyons gravina” a sud-ovest; dalle profonde lame carsiche di “Lama Fondovito” a sud, “Lama Piaggio” a nord; dalle lame della “bassa depressione e torrentelli” di nord-est.
La Piana dell’Isola, denominata “Civita (città)”, divenne un Castrum Civitatis tra i secoli IV-V sec. d.C., voluto e realizzato dai sopravvissuti alle vicende belliche e alle varie incursioni ed eccidi perpetrati dai Goti, dai Visigoti, dai pirati e saccheggiatori Saraceni, dai conquistatori e colonizzatori Bizantini, dai Longobardi, dai Normanni.
Inizialmente, Basiliani e i missionari Benedettini furono promotori e artefici antesignani della “Civita fortificata”, che crearono aggregazioni
con spirito cristiano e patriottico, predisponendo luoghi di preghiera e di aggregazioni sociali, che si divennero protagonisti attivi degli insediamenti umani, delle opere urbanizzazione e di difesa.
Il centro fortificato assicurò più volte la vita e i beni degli abitanti che solidarizzavano in momenti di pericolo, di assedi, di assalti. Castrum e castello costituivano un corpo unico di difesa, di protezione, di socializzazione e di governo. Esso fu alternativamente conquistato da Bizantini e da Longobardi tra il IX, X e XI secolo che, ciclicamente, provvedevano a ristrutturare, rifortificare, ammodernare.
I Longorbardi, in modo particolare, l’X secolo realizzarono una cittadina ben fortificata, per cui i ripetuti assalti ed assedi dei Saraceni non riuscirono a demolire ed invadere.
I Normanni con i loro seguaci si insediarono nella Civita l’XI secolo (1050-1070), convivendo familiarmente con i Longobardi in virtù di matrimoni.
Essi rinnovarono completamente il sito urbano con fortificazioni più solide ed inespugnabili e lasciarono una buona eredità agli Svevi, agli Angioini, agli Orsini che si premurarono per avere una Civita sempre più ampia e inespugnabile.
La “Civita” divenne il centro urbano (la polis) della ricostituita e ricostituenda Sidion-Silvium che aveva subito ripetute distruzioni e smembramenti.
Quella rinata città, denominata “Civita”, fu fortificata con solide mura e con un Castello residenziale per il “Governatore feudale - protempore”.
Lo “status” geomorfologico di quei luoghi indusse gli abitanti a cambiare l’appellativo di Silbion-Silvium in con “CIVITAS GRAVINAE - Nuova Città del Torrente Gravina”.
Quell’Isola del Piano, oggi, è denominata “Piazza Benedetto XIII”, ove esistono, intorno all’ampia piazza: il complesso monastico delle Suore Domenicane con la chiesa dedicata all’Assunta Maria Vergine; l’antico complesso urbanistico della “Confraternita di Santa Maria di Costantinopoli”; la Cattedrale con l’Episcopio; il Seminario vescovile (oggi Museo Civico); la Biblioteca Finia; la Chiesa di Santa Maria del Suffragio - Purgatorio; le abitazioni private.
Il prof. Raguso con le sue indagini filologiche e storiche ha ricostruito la storia del Castrum Civitatis e la sua evoluzione urbanistica e sociale: storia di un fenomeno di “SINECISMO” (raggruppamenti di abitanti di insediamenti rurali e rupestri), che ha ispirato e permesso all’artista Massimo Loglisci la realizzazione di una pregiata miniatura dell’antico Castrum con Castello che furono distrutti dal catastrofico terremoto del 1456.
Si può affermare, senza ombra di dubbi, che i cittadini di Gravina possono essere fieri di possedere e godere un concreto “Gioiello di Risurrezione Urbanistica” sostenuto da fonti storiche e storiografiche e dall’affermata abilità artistica di Massimo Loglisci.
IL SINDACO PESCATORE
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19 Lug 2024
- Ultima modifica il Venerdì, 19 Luglio 2024 15:30
- Pubblicato Venerdì, 19 Luglio 2024 15:30
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Il noto attore Ettore Bassi, porta in scena la storia di un eroe normale, Angelo Vassallo, il Sindaco Pescatore.
Un uomo normale e straordinario in una regione malata e straordinaria come la Campania.
Angelo Vassallo, il Sindaco Pescatore, un uomo che sacrificò con la sua vita l'impegno di amministrare per difendere e migliorare la sua terra e le sue persone.
La sua opera di uomo semplice onesto e lungimirante attraverso l'inizio della sua carriera politica, i successi straordinari ottenuti sul campo del Cilento nell'ottica del Bene Comune, compresa l'operazione Dieta Mediterranea assunta grazie a lui a Patrimonio dell'Unesco, fino al suo tragico epilogo.
Ambientalista convinto, l'amore del mare e della sua terra che nella sua attività di amministratore lo aveva sempre ispirato; esempio di rigore nel rispetto della legge con modi severi e fermi che però permettono di mantenere intatta la bellezza di uno dei luoghi più caratteristici del Cilento.
Emblematica la sua ordinanza di una multa fino a mille euro per chi viene sorpreso a gettare a terra cenere e mozziconi di sigarette: un solo mozzicone inquina un metro cubo di acqua per un anno intero.
La sera del 5 settembre 2010, mentre rincasava alla guida della sua auto, fu barbaramente e vigliaccamente ucciso per mano di uno o più assassini ancora oggi ignoti.
Più di 500 persone tra sindaci, amministratori locali e semplici cittadini il 10 febbraio 2018 marciarono per dire no alla archiviazione dell' inchiesta sull' omicidio dell ex sindaco di Pollica.
Lo spettacolo prodotto da Michele Ido con la regia di Enrico Maria Lamanna è interpretato da Ettore Bassi, su drammaturgia di Edoardo Erba tratta dal libro di Dario Vassallo " Il Sindaco Pescatore " e dai racconti di chi lo ha conosciuto e non lo vuole dimenticare. Nel 2016 andò in onda su rai uno il film tv su questa storia, interpretato da Sergio Castellitto.
L'appuntamento è per il 30 luglio presso il Castello Svevo ore 21, ingresso libero.
BARI COMMEMORA IL GRAVINESE FILIPPO D’AGOSTINO
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25 Gen 2025
- Ultima modifica il Sabato, 25 Gennaio 2025 15:38
- Pubblicato Sabato, 25 Gennaio 2025 15:38
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ll “Giorno della Memoria” ha lo scopo di commemorare la persecuzione della comunità ebraica, nonché la deportazione di politici e dissidenti italiani nei campi nazisti. La data scelta per la ricorrenza è il 27 gennaio di ogni anno, giorno dell’apertura dei cancelli di Auschwitz nel 1945.
Molte le iniziative e gli eventi organizzati in tutta Italia: dalla proiezione di film specifici alle visite gratuite nei musei ma i luoghi privilegiati devono essere le scuole per far comprendere agli studenti gli orrori perpetuati nei campi di concentramento; sarebbe opportuno leggere libri dedicati all’Olocausto, avere incontri con testimoni sopravissuti in modo da dibattere sulla tematica.
A Bari, lunedì 27, su iniziativa dell’amministrazione comunale in collaborazione con Anpi, Ipsaic, Anpia, Cgil Camera del Lavoro metropolitana, Arci e Coordinamento provinciale antifascista, si terrà una cerimonia in ricordo di Filippo D’Agostino, sindacalista, consigliere comunale di Bari, antifascista e medaglia d’oro al valor militare, deportato e ucciso nel lager nazista di Mauthausen.
ANCORA NASCOSTA LA VERITA’ DELLA STRAGE DI VIA D’AMELIO
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19 Lug 2024
- Ultima modifica il Venerdì, 19 Luglio 2024 15:21
- Pubblicato Venerdì, 19 Luglio 2024 15:21
- Scritto da Vincenzo Varvara
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Uno dei depistaggi più grandi della storia recente italiana, messa in piedi per coprire gli autori della strage di via D’Amelio, a Palermo, dove persero la vita il giudice Paolo Borsellino e 5 agenti della scorta (Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina). Questo è l’assunto attorno al quale girano tutte le attestazioni e i messaggi per ricordare ed onorare il 32esimo anniversario del massacro. Erano le 16.58 di domenica 19 luglio 1992 quando il giudice scese dalla sua vettura per citofonare alla madre, che andava a trovare regolarmente dopo aver trascorso la giornata al mare con moglie e figli. In pochi secondi lo scenario cambiò totalmente: esplosero 70 chili di tritolo facendo a pezzi tutto quello che si trovava nei dintorni auto, finestre e tapparelle, asfalto.
La famiglia chiede di non ridursi a celebrazioni di rito ma di fare luce sulla verità, tutto ruota attorno ad oggetti e dinamiche che costituiscono il cuore sconosciuto della vicenda: una trattativa e un’agenda rossa, che probabilmente ne conteneva i dettagli.
Un falso pentito, Vincenzo Scarantino, che recitò il testo che raccontava la storia di un giudice buono ammazzato dalla mafia cattiva. Sullo sfondo un palazzo di giustizia, quello palermitano, il nido di vipere, come lo soprannominò Borsellino un mese prima di saltare in aria. Magistrati e investigatori che misero mano alle indagini, ma poi le persero… le mani, le indagini e la dignità.