Storia, Uomini e luoghi
DALLA POVLI SILBION A GRAVINA CAPITALE DELLA CULTURA
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06 Set 2025
- Ultima modifica il Sabato, 06 Settembre 2025 10:39
- Pubblicato Sabato, 06 Settembre 2025 10:39
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DIODORO SICULO, storico siciliano, dal quale abbiamo appreso che Gravina, nel 306 a.C., fu distrutta dai romani, in più occasioni, nelle sue opere, ha citato Silbion-Silvium, definita, in una circostanza, POVLI , epiteto, tipicamente, ateniese, attribuito ad una città che si autogoverna, caratterizzata dalla democrazia o isonomia, dalla parresia (diritto-dovere di dire la verità), dalla cultura, dall’aiuto dato ai supplici, dall’arte e quindi anche dalla bellezza e, in quanto tale, considerata da Roma, un’autorevole antagonista, al pari di altri pochi centri come Lucera, Venosa e l’ineguagliabile Taranto. In ciò risiedeva il motivo della forte acredine riversata, dai romani, su Silbion, considerata al pari dei sanniti.
Rinverdire quei fasti è pura fantasia; è pur sempre lodevole lo sforzo di riviverli e/o emularli, seppure, in miniatura. L’idea di partecipare al concorso per la designazione a capitale della cultura va in questa direzione. Chi non sarebbe fiero di una Gravina che, per un anno, rappresenti la cultura italiana? Le critiche denigratorie emerse, negli ultimi tempi, contro tale evento, le ritengo fumose e fuori luogo, figlie di quel malcostume gravinese, formulate, tout court, per meri e meschini giochi politici che, oltretutto, risultano deleteri per la città. Questa malversa consuetudine di guardare a qualsiasi iniziativa con diffidente stupore, prescindendo dalla sua bontà, è deleterio per la crescita individuale e collettiva di una comunità. Ho seguito e letto qualche intervento sui siti online locali, essendo, dichiaratamente, lontano dai social (prediligo la nostalgica comunicazione diretta) e ho potuto, ahimè, constatare che il virus è quasi letale. Raccapriccianti alcuni commenti; rimane il rammarico per quanto, infelicemente, riverberato sulla città e sui cittadini; ancor più, imperdonabile, se il dileggio venga propinato da chi riveste cariche elettive.
Fatta la premessa, dato per scontato che è cosa buona concorrere per la capitale della cultura, diventa doveroso, da parte dei cittadini, perseguire questo traguardo con sincera condivisione, sotterrando la denigrazione; altrettanto lecito e opportuno è esprimere opinioni e suggerimenti circa considerazioni di carattere generale e modalità organizzative, con uno spirito costruttivo.
In campo comunale, sono stati avviati e appaltati qualificati progetti che vanno nella direzione del recupero e della valorizzazione e che ci auguriamo possano costituire un ulteriore tassello a sostegno della candidatura: l’avviamento del progetto di recupero del parco archeologico, la valorizzazione del parco di Bruno, appena acquisito al patrimonio comunale, la sistemazione dei siti rupestri, il completamento del recupero del rione Piaggio, la rivalutazione del teatro Mastrogiacomo (Gravina non dispone di un contenitore culturale, teatrale, artistico). Di pari passo andrebbero recuperati o portati a termine: il sospirato Museo Civico (Gravina non ha un museo, la Fondazione Santomasi non è Museo!); il recupero della collina Petramagna, culla di civiltà e di numerose testimonianze funerarie una delle quali (ahimè abbandonata a se stessa) è un raro esemplare del mondo peuceta (soltanto Ruvo può vantarne una simile); l’avviamento della procedura per la tanto agognata piscina comunale, la sistemazione dei giardini e aree, pubblici. Da registrare, anche, una carenza di strutture ricettive: moltissimi b&b con assenza totale di strutture alberghiere; parcheggi inadeguati, servizi igienici datati e così via.
Una riflessione più attenta avrebbe potuto consigliare uno slittamento della richiesta ed evitare una partecipazione affrettata e intempestiva, dati i tempi ristrettissimi; al di là della fase organizzativa, realizzare, in appena due anni, quanto sopra elencato, rappresenta un’impresa difficile o quasi impossibile. Vestiti, comunque, di cauto ottimismo, ci si augura, di vero cuore, di essere smentiti.
Il rientro di Gravina nel percorso Unesco dell’Appia sarebbe stato il suo fiore all’occhiello; non so quale effetto abbia prodotto la relazione consegnata dalla Prof.ssa Marchi a seguito dell’incarico espletato. Ad oggi tutto tace, ma non si deve desistere. Il caso della città di Latina è un’iniezione di fiducia e di speranza; esclusa, in prima istanza, dal riconoscimento Unesco, dopo appena un anno, a seguito di adeguata documentazione, ha ottenuto il reinserimento e adesso può ben dire di essere patrimonio Unesco- Appia! Sono già nati, in alcune città, i club Unesco-Appia, con l’intento di studiare e redarre progetti inerenti il percorso, mentre, pare, siano stati programmati i primi finanziamenti. In merito al tratto che interseca Gravina ho riportato, in più circostanze, per iscritto e verbalmente, quanto appurato dalla soprintendenza di Bari circa la cava che costeggia il tratto stradale che, da Santo Staso (Parco di Bruno) conduce al pianoro Madonna della stella; secondo gli studi recenti, effettuati dalla sovrintendenza, da questa cava sono stati estratti i blocchi per la costruzione delle mura di Silbion, V secolo a.C.! Il recupero di detta cava sarebbe auspicabile, nonché opportuno e proficuo, e rappresenterebbe un ulteriore tassello nella corsa alla candidatura, ben coniugabile col forte impatto visivo e attrattivo sulla pronosticata valorizzazione del tratto della via Appia! oltre alla cava sono da recuperare le tombe che costeggiano la via. Matera la spinta propulsiva verso la vittoria è arrivata dalla sua presenza nel patrimonio Unesco!
Fornire le adeguate informazioni su quanto accade e sui lavori in corso, deve essere una costante se si vuole mantenere alta la tensione e l’entusiasmo dei cittadini. L’obiettivo capitale della cultura, per l’enorme visibilità che ricadrebbe sulla città, specie in un momento di appiattimento nel flusso turistico dev’essere sostenuto coi denti e col cuore. La cautela e la ponderazione, (fa bene a tutti), devono essere le armi migliori nella programmazione come nella scelta dei collaboratori in generale. Affermava un noto politico-filosofo del secolo scorso: cambiare il mondo significa, anche, interpretarlo; l’interpretazione costa fatica, oculatezza, perspicacia e disincanto (specie politico) e… pazienza. Esempio? In fase di scelta finale per l’individuazione dei siti allocati lungo la via APPIA, rientranti, ufficialmente, nel patrimonio UNESCO, Gravina, a differenza di altre realtà, è risultata orfana dei tecnici che avrebbero dovuto, adeguatamente, supportare e illustrare le ragioni storiche e topografiche della candidatura! si era nel 2022. Lungi da me voler attribuire colpe e responsabilità, però gli errori costano tanto. Gravina auguri e buon viaggio!
MICHELE LADDAGA
GUGLIELMO IL GROSSO VICECONTE DI GRAVINA
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23 Giu 2025
- Ultima modifica il Lunedì, 23 Giugno 2025 05:42
- Pubblicato Lunedì, 23 Giugno 2025 05:42
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A conclusione della XXIII edizione di “Historia” continuiamo a dare alcune notizie del periodo riguardanti la nostra Città.
Guglielmo, detto il Grosso, fu uno dei feudatari di Laurenza del Giustizierato di Potenza, partigiano degli Svevi e stretto collaboratore di Manfredi. Egli fu sicuro discendente di altro Guglielmo, figlio di Matteo di Tito, vassallo di re Guglielmo di Sicilia, signore e conte di Laurenzana (1154) come attestato dal Catalogo dei Baroni.
Egli è passato alla storia per essere stato uno dei più accaniti congiurati antiangioini e sostenitore di Corradino di Svevia. La sua fama si è rese ancor più evidente grazie ai suoi ruoli di feudatario di Laurenzana e, soprattutto, di viceconte di Gravina per volere di Manfredi di Svevia, figlio di Federico II, che il 17 dicembre 1250 ereditò, tra l’altro, la contea gravinese.
Questa notizia la rileviamo da un atto pubblico con cui papa Alessandro IV restituì a Filippo di Santa Croce il feudo di Canne ed il casale di S. Eustachio, fatta da monsignor Giovanni Buono, vescovo di Ancona e vicario del Giustizierato di Barletta e Otranto, che Manfredi aveva ricevuto dal padre Federico II unitamente al feudo di Gravina, che, lo stesso Manfredi, aveva donato a Guglielmo il Grosso suo fedele sostenitore (1255 gennaio 28, Roma – Laterano).
Manfredi, divenuto reggente del regno di Sicilia e in lotta con il papa e i guelfi Angioini, nominò suo viceconte Guglielmo il Grosso, affidandogli la contea di Gravinadopo aver spodestato Gugliemo Toscano. Il viceconte governò il feudo gravinese dal 1251 sino al 1268, anno della sua morte come congiurato contro Carlo I d’Angiò.
Alcuni documenti raccolti nei Registri della Cancelleria Angioina riportano i dettagli- dei “Fatti di Potenza accaduti il 1268” e tutti i nomi dei congiurati della Basilicata:
“ ….. Il nuovo giustiziere di Basilicata trova una situazione insostenibile. Gli uomini più rappresentativi del Giustizierato si erano schierati contro gli Angioini. …I paesi (a sud di Potenza) erano rimasti fedeli agli Angioini, nei centri abitati del versante tirrenico si armavano uomini per domare i ribelli nei centri dell'alta Calabria: i fratelli Giacomo, Riccardo e Roberto da Lauria, al comando di armati del loro paese, parteciparono a fatti d'armi, espugnando il castello di Laino che, ribellatosi agli Angioini, era passato ai fautori di Corradino.
Guglielmo il Grosso fu l’ultimo feudatario svevo di Laurenzana, fedele a re Manfredi sino all'epoca della famosa rivolta antiangioina del 1268, conclusasi tragicamente in Basilicata coi fatti di Potenza, ove fu ucciso insieme agli altri congiurati filosvevi.
A Guglielmo subentrò nel possesso del fendo Annibale Trasimundo di Roma, dando vita al periodo della dominazione angioina a Laurenzana.
Prof. Fedele RAGUSO
GIOVANNI DI MONTFORT, CONTE E SIGNORE DI GRAVINA DAL 1289 AL 1300
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22 Mag 2025
- Ultima modifica il Giovedì, 22 Maggio 2025 04:45
- Pubblicato Giovedì, 22 Maggio 2025 04:45
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Giovanni Monfort, il padrino che richiamò in auge la Fiera “San Giorgio” dal torpore in cui l’avevano relegata i Normanni e gli Svevi.
Egli si adoperò per la riqualificazione delle mura, dell’ormai sconfinata Isola del Piano, della realizzazione del nuovo Castello e per l’abbandono del vecchio castello donato alla Mensa Vescovile che lo trasformò in Episcopio; nacque nella Francia meridionale tra il 1259 e 1260 da Filippo II signore di Castres, e da Jeanne de Lévis-Mirepoix.
Fu Carlo I d’Angiò a presentarlo come suo familiare e consanguineo nel diploma redatto a Napoli il 24 gennaio 1271, con cui gli assegnò il titolo di Conte e la terra di Geraci in Sicilia, unitamente ai feudi di Gangi e Castel di Lucio.
Nello stesso anno, re Carlo concesse altri feudi a suo fratello Simone e con tali donazioni volle attestare la massima riconoscenza al loro padre Filippo, che gli era stato valido collaboratore durante la conquista del Regno di Napoli, morto pochi mesi prima, durante la crociata contro Tunisi.
Nel luglio dello stesso anno, Giovanni conseguì la contea di Squillace con i feudi di Soverato e Satriano in Calabria, in cambio dei feudi siciliani ricevuti precedentemente.
Il 1273 fu insignito del titolo di Camerario del Regno, che lo mantenne sino alla sua morte. Tale carica onorifica lo impegnava a curare la persona del re e la sua famiglia per cui riceveva consistenti guadagni finanziari e massimo rispetto dei sudditi angioini.
Nel 1275 Giovanni sposò Margherita, figlia primogenita di Pietro di Beaumont, potente Camerario del Regno, che gli portò in dote la contea di Montescaglioso, con i feudi di Camarda, Pomarico, Craco, Uggiano e Montepeloso.
Da Margherita, purtroppo, non ebbe figli, per cui morì senza eredi e tutti i suoi feudi furono devoluti al Regio Demanio ad esclusione della contea di Montescaglioso appartenente alla moglie.
Nel corso degli anni gli furono attribuite funzioni più importanti in materia di fortificazioni e manutenzione delle difese regie, nonché il comando di operazioni militari destinate a contenere l’avanzata delle forze siculo-aragonesi in Calabria, dopo la rivolta dei Vespri del 1282.
È molto probabile che durante il governo del feudo gravinese sia stato impegnato a rinforzare la difesa della cinta muraria della Civita e, soprattutto, la costruzione del nuovo castello.
Il 6 gennaio 1285 Carlo I, nel dettare le sue ultime volontà, nominò Montfort Capitano Generale del Regno con il compito di affiancare il reggente Roberto d’Artois fino alla liberazione del figlio Carlo II, prigioniero degli aragonesi, questi quando divenne re, volle al suo fianco il Montfort e si avvalse per trattare la pace nel Regno (1289), che gli doveva rendere liberi i tre figli, lasciati in ostaggio presso gli Aragonesi, e placare gli animi esasperati di nemici e sudditi.
Monfort, durante il regno di Carlo II, fu uno dei più validi ed utili ufficiali della corona e mantenne un ruolo importante nell’amministrazione del Regno. Fu sempre impegnato nella difesa del confine calabrese, per cui restò lontano dalla corte per lunghi periodi.
Il 15 agosto del 1289 Giovanni di Monfort già conte di Squillace e di Montescaglioso, fu infeudato nella contea di Gravina.
Il documento di investitura fu indirizzato al Secreto di Puglia, affinché assicurasse al Monfort il reale e completo possesso della terra di Gravina e facesse prestare giuramento di fedeltà a tutti gli uomini di detta terra. Il Secreto ebbe ordine che, dopo aver espletati gli atti di assegnazione, giuramento ed assicurazione, doveva far stilare da un notaio tre copie del pubblico atto di donazione: la prima da dare al neo conte, la seconda da conservare nella Segreteria di Puglia, la terza da inviare alla Regia Camera.
La concessione a favore di Monfort fu accompagnata dalla prescrizione più rigorosa con l’inserimento della clausola per la osservanza degli “Usi Civici”, perché non erano stati rispettati e onorati dai precedenti feudatari Belloioco e Burcardo, predecessori, inadempienti, che provocarono continue contestazioni accompagnate da suppliche al re, affinché intervenisse per assicurare la giusta applicazione delle antiche consuetudini.
La reale consistenza del patrimonio demaniale affidato a Monfort si rileva da preziosi documenti, stilati dopo la sua morte. In essi fu registrato l’inventario dettagliato dei diritti, dei beni, del denaro e delle terre, riacquisiti dalla Regia Curia, poiché il conte non aveva eredi.
Prof. Fedele Raguso
GRAVINA E FEDERICO II
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22 Giu 2025
- Ultima modifica il Domenica, 22 Giugno 2025 05:53
- Pubblicato Domenica, 22 Giugno 2025 05:53
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Ultimo giorno della XXIII edizione di ”Historia” quest’anno dedicata alla figura di Federico II; questi dopo essere stato incoronato imperatore, giunse anche alla Contea di Gravina, probabilmente il 1222, in quanto privilegiata dai suoi avi e amministrata da feudatari Aleramici.
Federico II predilesse molto Gravina, apprezzata per il vasto territorio e per le ricchezze ambientali, per cui attribuì alla città prestigiosi onori istituzionali: nel 1234 stabilì “Gravina Capoluogo delle Assise Giudiziarie della Curia Imperiale”.
Incentivò e sostenne opportunamente l’economia agricola e armentizia del suo regno e di Gravina; infatti, per alimentare l’agricoltura fece realizzare “domus de massaria” con le caratteristiche e risorse naturali dei territori in cui venivano ubicate. Erano distinte in masserie di campo per la semina di cereali e legumi, in masserie per gli allevamenti di suini, equini, bovini. Degna di particolare menzione è la “mare stalla”, fuori porta San Cataldo, più conosciuta con il nome di “Cavalerizza”.
L’Imperatore tornò a Gravina nel 1237 e ordinò all’architetto Fuccio di progettare e far realizzare sulla collina più alta una dimora imperiale (domus solacii) con scopi di controllo del territorio e per svago con battute di caccia e pesca nel territorio ricco di boschi e tanta selvaggina; in quella circostanza si rese conto della sincera e devota fedeltà del castellano di Gravina con tutti i suoi collaboratori, il castello di Gravina fu uno di quelli di terra di Bari da non sottoporre ad accertamenti perché egli stesso aveva conosciuto e accertato personalmente la lealtà di essi.
Nel 1241 dispose che i cittadini di Gravina e gli uomini della vicina terra di Altamura dovevano sostenere le spese dei restauri necessari farsi al castello e alla domus gravinese.
Più volte l’Imperatore Federico II ebbe a soggiornare nella prediletta Gravina: oltre al 1227 ancora nel 1234, 1239 e 1242 come attestato da alcuni documenti, ivi fatti stilare e da lui ratificati.
(notizie tratte dal volume “Storia dell’Urbs Gravina scritto da Marisa D’Agostino e Fedele Raguso).
“CASTRUM CIVITATIS GRAVINAE ” CIVITA (Nuova città) DELL’ISOLA DEL PIANO
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04 Mag 2025
- Ultima modifica il Domenica, 04 Maggio 2025 16:01
- Pubblicato Domenica, 04 Maggio 2025 16:01
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Il prof. Fedele Raguso ha ricostruito la "Storia della Civita fortificata" che prese l'appellativo di "Città della Gravina" oscurando definitivamente l’ "Antica Urbs Sidion-Silvium" sorta sulla collina "Pietramagna": “ insediamento urbano storicamente famoso e più volte distrutta dai Romani il 305 a.C. e, successivamente, smembrato e rasa al suolo dalle incursioni barbariche tra il terzo e quarto secolo dopo Cristo.
La nuova "Ciivitas della Gravina" fu costituita dai sopravvissuti "Sidini-Silvini " raggruppatisi nella “Valle della Gravina” naturalmente fortificata dal kanion e dalle impervie lame.
Tra “la Gravina e la “Piana dell’Isola del Piano” si ricostituì l’antica "POLIS Sidinon-Silvium" che, oggi, si chiama Gravina.
“ CIVITA ” fu il sinonimo dell’antica Sidinon - Silvium, che si connotò come “Castrum con Castello” fortificata, situata sull’aspro altopiano, esteso 5 mila metri quadrati (circa). Detto altipiano fu denominato “Isola del piano”, costituito da un pianoro protetto dalla “Valle del Torrente Gravina”, con il “Canyons gravina” a sud-ovest; dalle profonde lame carsiche di “Lama Fondovito” a sud, “Lama Piaggio” a nord; dalle lame della “bassa depressione e torrentelli” di nord-est.
La Piana dell’Isola, denominata “Civita (città)”, divenne un Castrum Civitatis tra i secoli IV-V sec. d.C., voluto e realizzato dai sopravvissuti alle vicende belliche e alle varie incursioni ed eccidi perpetrati dai Goti, dai Visigoti, dai pirati e saccheggiatori Saraceni, dai conquistatori e colonizzatori Bizantini, dai Longobardi, dai Normanni.
Inizialmente, Basiliani e i missionari Benedettini furono promotori e artefici antesignani della “Civita fortificata”, che crearono aggregazioni
con spirito cristiano e patriottico, predisponendo luoghi di preghiera e di aggregazioni sociali, che si divennero protagonisti attivi degli insediamenti umani, delle opere urbanizzazione e di difesa.
Il centro fortificato assicurò più volte la vita e i beni degli abitanti che solidarizzavano in momenti di pericolo, di assedi, di assalti. Castrum e castello costituivano un corpo unico di difesa, di protezione, di socializzazione e di governo. Esso fu alternativamente conquistato da Bizantini e da Longobardi tra il IX, X e XI secolo che, ciclicamente, provvedevano a ristrutturare, rifortificare, ammodernare.
I Longorbardi, in modo particolare, l’X secolo realizzarono una cittadina ben fortificata, per cui i ripetuti assalti ed assedi dei Saraceni non riuscirono a demolire ed invadere.
I Normanni con i loro seguaci si insediarono nella Civita l’XI secolo (1050-1070), convivendo familiarmente con i Longobardi in virtù di matrimoni.
Essi rinnovarono completamente il sito urbano con fortificazioni più solide ed inespugnabili e lasciarono una buona eredità agli Svevi, agli Angioini, agli Orsini che si premurarono per avere una Civita sempre più ampia e inespugnabile.
La “Civita” divenne il centro urbano (la polis) della ricostituita e ricostituenda Sidion-Silvium che aveva subito ripetute distruzioni e smembramenti.
Quella rinata città, denominata “Civita”, fu fortificata con solide mura e con un Castello residenziale per il “Governatore feudale - protempore”.
Lo “status” geomorfologico di quei luoghi indusse gli abitanti a cambiare l’appellativo di Silbion-Silvium in con “CIVITAS GRAVINAE - Nuova Città del Torrente Gravina”.
Quell’Isola del Piano, oggi, è denominata “Piazza Benedetto XIII”, ove esistono, intorno all’ampia piazza: il complesso monastico delle Suore Domenicane con la chiesa dedicata all’Assunta Maria Vergine; l’antico complesso urbanistico della “Confraternita di Santa Maria di Costantinopoli”; la Cattedrale con l’Episcopio; il Seminario vescovile (oggi Museo Civico); la Biblioteca Finia; la Chiesa di Santa Maria del Suffragio - Purgatorio; le abitazioni private.
Il prof. Raguso con le sue indagini filologiche e storiche ha ricostruito la storia del Castrum Civitatis e la sua evoluzione urbanistica e sociale: storia di un fenomeno di “SINECISMO” (raggruppamenti di abitanti di insediamenti rurali e rupestri), che ha ispirato e permesso all’artista Massimo Loglisci la realizzazione di una pregiata miniatura dell’antico Castrum con Castello che furono distrutti dal catastrofico terremoto del 1456.
Si può affermare, senza ombra di dubbi, che i cittadini di Gravina possono essere fieri di possedere e godere un concreto “Gioiello di Risurrezione Urbanistica” sostenuto da fonti storiche e storiografiche e dall’affermata abilità artistica di Massimo Loglisci.
GUGLIELMO TOSCANO CONTE DI GRAVINA (1241-1251 ca.)
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27 Mag 2025
- Ultima modifica il Martedì, 27 Maggio 2025 07:26
- Pubblicato Martedì, 27 Maggio 2025 07:26
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Alcuni componenti della famiglia Toscano, giunsero nel Sud Italia unitamente ad altri rappresentanti di famiglie notabili dall’Italia settentrionale (per lo più dal Piemonte), stabilendosi nel regno di Sicilia fin dal secolo XII.
Lo storico e storiografo Eustachio Rogadeo (paleografo e diplomatista di Bitonto) occupandosi delle famiglie “ALERAMICI, DE SAY e TOSCANO”., scrisse, tra l’altro: “ … che tra i testimoni firmatari dell’atto notarile del settembre 1188, con cui Tancredi de Say, conte di Gravina, donò a monsignor Tommaso, vescovo di Gravina alcune terre del territorio gravinese, pro anima sua e dei suoi parenti defunti, si riscontra assai preponderante l’elemento subalpino, che nella città di Gravina aveva fiorentissima colonia: “… oltre a Leone Presco di famiglia (Preco) originaria di Asti, si trovano anche i suffeudatari gravinesi: Boemondo Foliarino e Pietro Tuscano. La famiglia Toscano non sarebbe che una delle tante diramazioni di quella famiglia Toscano dell’Italia Settentrionale stabilitasi , anche a Gravina…”-
Il barone Luca De Rosis occupandosi della famiglia Toscano di Rossano ebbe modo di scrivere: “Guglielmo fu il primo (della famiglia) che da Pisa, città della Toscana, si portò nel Regno (di Sicilia) nell’anno 1241 con l’esercito di Federico II, figlio dell’imperatore Arrigo IV, dal quale ebbe in feudo la contea di Gravina. Proprio lui il primo, che andò a fissare il domicilio in Cosenza”.
Federico II, prodigo riconoscente nei confronti di suoi sostenitori e difensori nella lotta contro il papato, il 1241 concesse a Guglielmo Toscano la città demaniale di Gravina nominandolo conte, per compensarlo del valido aiuto e fedeltà dimostrata durante la presa di Capua.
Questa nota storica ci è pervenuta da un’opera inedita della baronessa Maria Toscano di Rossano che scrisse: “… la concessione imperiale fosse stata fatta per atti di valore compiuti dal Toscano nella presa di Capua durante la lotta contro il Papato: “secondo quanto trovasi in alcuni documenti di famiglia”. La notizia, probabilmente, risponderebbe a verità, ma, Domenico Nardone, storico gravinese, afferma: né a Gravina, né negli archivi di Napoli sono stati trovati documenti relativi a questa concessione. Comunque l’investitura di Guglielmo Toscano la rileviamo dalle attestazioni storiche di Federico II e del figlio Manfredi, suo erede.
Alfredo Gradilone,, storico di Rossano, conferma nella sua storia che Federico II concesse a Guglielmo Toscano la contea di Gravina, il cui dominio feudale di conte di Gravina non dovette avere lunga durata perché, con la morte dell’imperatore (dicembre 1250), il feudo di Gravina fu ereditato da Manfredi per disposizione testamentaria di suo padre Federico II. Quest’ultimo concesse a tal Guglielmo il Grosso di Laurenzana (PZ), suo fedele collaboratore.
Il barone Pietro Toscano, fu il capostipite della sua famiglia immigrata a Gravina, giunto al seguito de marchese Bonifacio d’Incisa, a cui re Ruggero concesse la contea di Gravina.
La residenza e presenza di Pietro Toscano in Gravina è attestata da un atto di donazione datato, Gravina settembre 1188, col quale il conte Tancredi de Say, figlio ed erede di Riccardo, donò a Tommaso, vescovo di Gravina, alcune terre del territorio gravinese. Pietro Toscano, infatti, figura tra i testimoni e firmatari di quella donazione.
Sappiamo con certezza che i discendenti di Pietro erano ancora presenti a Gravina nel XIII secolo come ci informano i seguenti documenti: atto con cui Giovanni Toscano nell’ottobre 1284 si aggiudica l’appalto della gabella della baiulazione; Regio assenso concesso a favore del notaio Angelo de Pomarico col quale può acquistare dal barone Giovanni Toscano un feudo in territorio gravinese.
Alcuni componenti dei Toscano di Gravina si trasferirono a Cosenza e, successivamente, a Rossano, dove si insediarono e proliferarono nel tempo con successi sociali, istituzionali ed economici. Ancora oggi si trovano a Gravina, a Cosenza e a Rossano discendenti degli antenati Toscano presenti nel sud Italia dal secolo XII.
Prof. Fedele Raguso
BARI COMMEMORA IL GRAVINESE FILIPPO D’AGOSTINO
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25 Gen 2025
- Ultima modifica il Sabato, 25 Gennaio 2025 15:38
- Pubblicato Sabato, 25 Gennaio 2025 15:38
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ll “Giorno della Memoria” ha lo scopo di commemorare la persecuzione della comunità ebraica, nonché la deportazione di politici e dissidenti italiani nei campi nazisti. La data scelta per la ricorrenza è il 27 gennaio di ogni anno, giorno dell’apertura dei cancelli di Auschwitz nel 1945.
Molte le iniziative e gli eventi organizzati in tutta Italia: dalla proiezione di film specifici alle visite gratuite nei musei ma i luoghi privilegiati devono essere le scuole per far comprendere agli studenti gli orrori perpetuati nei campi di concentramento; sarebbe opportuno leggere libri dedicati all’Olocausto, avere incontri con testimoni sopravissuti in modo da dibattere sulla tematica.
A Bari, lunedì 27, su iniziativa dell’amministrazione comunale in collaborazione con Anpi, Ipsaic, Anpia, Cgil Camera del Lavoro metropolitana, Arci e Coordinamento provinciale antifascista, si terrà una cerimonia in ricordo di Filippo D’Agostino, sindacalista, consigliere comunale di Bari, antifascista e medaglia d’oro al valor militare, deportato e ucciso nel lager nazista di Mauthausen.

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