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Cultura ed Eventi

Tradizioni che stentano a sopravvivere

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Contro «sua maestà» il pomodoro nulla possono neanche i massimi sistemi: assistere ad una discussione, tutta al femminile, sui metodi di preparazione della «salsa» richiama alla memoria quelle belle e pirotecniche tribune politiche di un tempo. Ad accendere gli animi delle signore pugliesi è l’estrema variabilità – frutto di consolidate tradizioni familiari – nel realizzare uno dei prodotti più emblematici della gastronomia pugliese: la «salsa», quella che nel resto della Penisola si chiama «passata di pomodoro». Un vero e proprio rito estivo che rinsalda una sorta di patto fra generazioni per via della necessità di poter contare sull’apporto di tutti in un processo a suo modo lungo e faticoso ma capace di assicurare un gusto inimitabile per l’intero arco dell’anno.

Le prime divergenze fra le diverse scuole di pensiero emergono già dalla scelta della cultivar. Il re indiscusso delle conserve è il «San Marzano», la varietà che prende il nome della cittadina sarnese caratterizzata dalla sua forma allungata, ricca di polpa e con pochi semi. Una leadership ciclicamente messa in discussione da altre come la «molese», rapida descrizione del pomodoro da salsa di Mola, dalle caratteristiche simili ma più corta, o l’ibrida ed emergente «Mascalzone» un derivato del mini San Marzano. Qualunque sia la varietà scelta, i pomodori prediletti restano quelli «della marina» ovvero quelli irrigati con acqua sorgiva salmastra che rende l’ortaggio più saporito. Quanto all’approvvigionamento, circa un quintale per una famiglia di quattro persone (stima che ovviamente risente dei consumi soggettivi), i più fortunati riescono a visionare il prodotto direttamente sui campi di piccoli produttori locali, una sorta di «ortolano di fiducia», e si preoccupano di testare il pomodoro cucinandone una piccola quantità prima dell’acquisto. Altri si rivolgono ad esercizi commerciali o ai mercati di paese.

 La sera prima, nelle seconde case – in campagna o al mare – o sui terrazzi ricompaiono magicamente dopo un anno di riposo tutte le attrezzature necessarie. Dai magazzini affiorano grandi caldaie in rame (negli anni via via sostituite dal più leggero ed economico alluminio), tavolieri in legno dal piano inclinato, scola pomodori dal lungo manico, passapomodoro elettrici che nel tempo hanno soppiantato quelli manuali, stracci, tinozze, tappatrici e centinaia di bottiglie riciclate in origine contenti acqua minerale, birra da «tre quarti» (in realtà da «due terzi» poiché da 0,66 litri) o passate di pomodoro «commerciali» e quindi dalla bocca larga con annessi tappi metallici. Tutti oggetti da rispolverare e sciacquare per essere pronti al «gran ballo» dell’alba successiva.

Nella stragrande maggioranza dei casi la sveglia è puntata alle prime ore della giornata, il grande nemico è il sole, il caldo e gli immancabili insetti che svolazzano in misura direttamente proporzionale all’afa. È a quell’ora che la saggezza dei nonni si riunisce al vigore dei genitori e alla grande curiosità dei nipoti: almeno tre generazioni si ritrovano per dare sfogo all’atteso rituale. La prima operazione è l’accurato lavaggio dei pomodori che saranno sbollentati con del basilico e in poca acqua nella caldaia in rame che, in taluni casi, somiglia ai pentoloni delle streghe protagoniste delle fiabe più tradizionali. Di lì i pomodori leggermente appassiti vengono letteralmente pescati, stesi a scolare e immessi nelle «macchinette» capaci di produrre il prezioso passato. Succo rosso sangue da trasferire in bottiglie (sul fondo di quelle più larghe ad accoglierlo c’è spesso una foglia di basilico) che, una volta sigillate, vengono posizionate accuratamente in grandi barili (quelli da olio lubrificante generalmente reperiti da amici meccanici) insieme a stracci capaci di evitarne la rottura durante la bollitura, necessaria per creare il sottovuoto, per venti minuti a bagnomaria sul fuoco a legna o su di un grande fornello da campeggio intorno ai quali sono sapientemente distribuiti tufi (in alcune località come Ostuni si opta invece per il forno a legna a temperatura minima). Trascorso giusto il tempo del raffreddamento, possono così essere stipate in ogni genere di contenitori dai quali quotidianamente e per almeno un anno (talvolta due) le famiglie ripescheranno le bottiglie di salsa di pomodoro dall’inimitabile e originale gusto familiare.

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