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RICORDARSI SEMPRE … POTREBBE VERIFICARSI LA FINE!

S.O.S  Affreschi di San Vito … in decomposizione!

Si aspettava un urgente intervento di restauro e salvaguardia da parte delle Sovrintendenze e Univesità degli Studi di Roma e Bari, dal Centro di Restauro romano ma, ad oggi, nulla è accaduto e gli affreschi si scolorano e si deformano, Ahimè!

Le istituzioni (Comune e Fondazione Pomarici-Santomasi proprietaria) e i beneficiari degli utili turistici non si preoccupano e non si rendono conto della costante decomposizione (per umidità ascendente) in cui versa la “PERLA PIU PREZIOSA” del patrimonio artistico-culturale di Gravina.

 

NOTA DI PROFONDO RAMMARICO

 

Qualche giorno fa incontrai a Bari un amico e collega dell’Università che mi fermò volutamente per dirmi :

“Sono stato a Gravina i giorni della Fiera San Giorgio e ho colto l’occasione di godere delle bellezze paesaggistiche della valle della gravina e osservare alcuni monumenti e opere d’arte. Tra le tante soddisfazioni di turista ho avuto quella di visitare ed osservare attentamente gli AFFRESCHI DI SAN VITO VECCHIO siti presso il Museo Pomarici-Santomasi”. Sono rimasto sconcertato nel constatare la situazione di degrado in cui versano a causa dell’umidità ascendente che scolora le immagini e deforma i supporti. Li ho trovato molto diversi rispetto a quando li vidi per la prima volta nel lontano 1986. Mi sai dire perché sono lasciati lì in decomposizione? E mai possibile che una perla così preziosa non sia curata e protetta dalla istituzione che la detiene e dalla Civica amministrazione? Eppure si lucra abbastanza con i tanti turisti che vengono a Gravina per vedere quegli affreschi!”.

Vi confesso!

Mi sono vergognato e non gli ho saputo dare una risposta di conforto al suo dispiacere per tanta incuria!

 

PREZIOSI RICORDI … TESORO EREDITATO … MA MAL CONSERVATO

 

Nella Criptopoli affascinante del kenyon della valle della “Gravina” (presso complesso rupestre delle Fornaci, adiacente il Cimitero) si conserva ancora la Cripta dedicata a San Vito Martire dai Benedettini, poi ereditata dagli Eremitani Agostiniani, giunti a Gravina tra fine XV ed inizio XVI secolo. In quella cripta furono rinvenuti negli anni 40 dello scorso secolo, durante gli scavi per estrazione dei tufi, i preziosissimi affreschi bizantineggianti datati XIII-XIV secolo. Nel 1956 furono asportati e, dopo una tournè di mostre, furono sistemati in un ambiente del piano terra del palazzo museo “Ettore Pomarici-Santomasi” di Gravina in Puglia. Infatti dopo il distacco furono restaurati dalla Soprintendenza di Bari in collaborazione dell’Istituto Centrale del Restauro di Roma. Nel 1958 si provvide ad un necessario ed opportuno restauro conservativo presso il Centro di Restauro di Roma, che, nello stesso anno, li inviò a Buxelles per essere esposti alla Mostra Universale dell’Arte Bizantina, ove riscossero successi di ammirazione e interessi di studiosi e visitatori. In seguito, furono esposti ai Mercati Traianei di Roma (1959).

Divenuti noti e apprezzatissimi furono richiesti dall’Università di Atene per esporli alla Mostra dell’arte Bizantina (1964-1965). Nel 1967 tornarono in Puglia per essere messi nella Mostra dell’arte in Puglia, allestita a Bari. Dopo varie vicissitudini tra Soprintendenze e Musei nazionali ed internazionali, che rivendicavano l’appropriazione, furono consegnati al Comune di Gravina nel 1968 e sistemati presso il museo Pomarici-Santomasi in un locale appositamente forgiato come la cripta originale, per la migliore sistemazione dei pannelli in cui furono collocati dopo il distacco dalle pareti originali.

 

 

L’AFFRESCO E LE SUE IMMAGINI

Il prof. Michele D’Elia  e la dott.ssa Clara Gelao scrissero che la preziosa opera sia stata realizzata da maestranze locali attive tra il XIII ed il XIV secolo, tra Puglia e Basilicata e così la presentarono(GELAO Clara, Ignoto frescante pugliese, fine sec. XIII-inizio XIV secolo, in Circolo Arcangelo Scacchi, Mostra rassegna delle arti figurative in Gravina,  Cassano delle Murge (BA) 1983, pp. 25-29):

 

“Il complesso affresco è dominato, nell'abside della cripta che appare come una grossa mandorla retta da quattro Angeli, due a destra e due a sinistra (i due Angeli posti nella parte superiori sono di maggiori dimensioni rispetto ai due inferiori) dalla imponente e maestosa figura del Cristo Benedicente (pantocratore), seduto in trono, la cui spalliera concava, decorata con piccoli cerchi di perline, segue l'andamento dell'abside stessa. Il Cristo, con barba e chioma folta, volto allungato e con grandi occhi fissi, indossa una tunica rossa con perline, sormontato da un mantello azzurro. Con la mano destra benedice alla maniera greca, mentre con la mano sinistra regge un “Libro” aperto su cui si legge: EGO SU(M) / LUX MUNDI / Q(UI) SE / QUITUR ME NON / A(M)BULAT IN TE / NEBRIS / SE(DHABE)BIT / (LUMEN) VIT(AE) / D(OMI)N(U)S (Io sono la Luce del mondo,  chi mi segue non camminerà nelle tenebre ma avrà la Luce della vita – Vangelo Giovanni, VIII, 12) .

Il profilo esterno dell'abside é percorso da una fascia che presenta un motivo decorativo geometrico forse di lontana ascendenza islamica, che consiste in un nastro, che piegandosi a zig-zag, ottiene effetti stereometrici con vivaci colorazione in bianco, rosso e blu.
Sull'altra parete, osservando da destra verso sinistra sono raffigurate : Santa Caterina d’Alessandria, La Madonna con il Bambin Gesù seduta in trono e benedicente, San Bartolomeo, San Nicola, Santa Margherita, San Cosma e Damiano con accanto un santo vescovo barbuto (forse San Giovanni Crisostomo), in ultimo San Martino mentre taglia il mantello per donarlo al povero (quest’ultima icona fu affrescata, probabilmente nel XIV secolo”.

 

ALTRE RICERCHE … ALTRE NOVITÀ

Quegli affreschi sono stati oggetto, (oltre che di trascuratezze), di studi, analisi e descrizioni puntuali da parte di vari studiosi dell’arte figurativa dei frescanti medievali. Tra di essi ci sono stati alcuni (Bramato …Salierno) che hanno affermato (come si riporterà in seguito) che quell’opera comprende (oltre alle icone) elementi storici che permetterebbero di retrodatare l’opera originaria che, probabilmente, fu oggetto di ritocchi e rifacimenti.

 Nel 1993 Fulvio Bramato, studioso dei Templari scrisse(Storia dell’Ordine dei Templari in Italia, I le fondazioni, Roma 1993, p.182) :

“… Altre tracce templari sono forse individuabili, oltre che negli affre­schi del portico della chiesa del Tempio di Ormelle (Sulle antiche orme dei Templari, in «Bell'Italia», 1986, n. 6, p. 138) in alcuni affreschi della cripta di S. Vito Vecchio di Gravina di Puglia, oggi conservate nei locali del museo comunale, intorno ai quali gli studi più recenti sono stati condotti da Kurt Weitzmann. Lo studioso statunitense, in verità, non fa alcun esplicito riferimento ai Templari per quanto attiene alla paternità ed alla committenza degli affreschi pugliesi. Si dimostra, pe­rò, convinto che gli stessi, databili intorno al 1220, siano da porre in strettissima relazione con quelli studiati da Sotiriou a Cipro ed alcune , icone del monastero sinaitico di S. Caterina (Galey J., // Sinai e il monastero di Santa Caterina, Firenze1982)    e che siano opera di un ar­tista pugliese, il «Maestro Templare», formatosi nell'ambientecrociato delle ridotte cristiane della Terra Santa della fine del XIII secolo  ((K. Weitzmann, Icon, Painting in the Crusader Kingdom,  in «Dumbarton Oaks Papers», XX (1966), pp. 51-83. Sulle icone pugliesi del XIII secolo, cfr. P. Belli D'Elia, Fra tradizione e rin­novamento. Le icone dall’XI al XIV secolo, in AA.VV., Icone di Perugia e Basilicata dal Medioe­vo al Settecento, a cura di Pina Belli D'Elia, (Milano), Mazzotta, 1988, pp. 19-30).”

                Nel 2013 Vito Salierno, ricercatore di testimonianze islamiche e iscrizioni cufiche, pubblicò l’interessantissimo studio(Tracce islamiche nelle chiese di Puglia e Basilicata- Iscrizioni pseudo-cufiche, Edizioni del Rosone, Foggia 2013. Parte già edito in Rivista “Regione Basilicata Notizie” pp. 113-116).

 

“ …. La grafìa cufica è la forma dell'alfabeto arabo sviluppata­si secondo la tradizione a Kufa, in Mesopotamia, oggi Iraq, ed usata nei paesi mu­sulmani sin dal VII secolo: raggiunse la perfezione nella seconda metà dell’VIII secolo, rimanendo per oltre tre secoli la forma grafica sacra per ec­cellenza. Il cufico è caratteriz­zato dalla forma allungata e angolosa delle lettere arabe (ventotto in tutto) con un an­damento prevalentemente orizzontale: le lettere che ci ri­guardano in particolare, cioè

L’alif  (A), il lam ((L), il kaf (= K), le cosiddette lettere astate che si sviluppano in ver­ticale, sono meno enfatizzate rispetto a quelle con sviluppo orizzontale.

Per capire l'importanza dell'alfabeto arabo va ricorda­to che, secondo gli insegna­menti islamici, il Corano fu trasmesso a voce al Profeta in lingua araba con l'intermediazione dell'arcangelo Gabriele: da qui deriva il suo status di linguaggio divino…

…. A Matera, nel Sasso Caveoso, su uno spuntone roccioso, sorge la chiesa di Santa Maria de Idris: dall'interno di que­sta, per una apertura a sinistra dell'altare con affresco raffigu­rante la Vergine Hodigitria o "guida della via", appellativo dato alla Madonna venerata a Costantinopoli, il cui culto fu importato dai monaci bizan­tini, si accede alla chiesa ipo­gea di San Giovanni in Monterrone, a tre navate scavate nella roccia, risalente agli inizi dellVIII secolo.

In questa chiesa rupestre, nel dittico degli apostoli Pie­tro e Giacomo di maestro ta­rantino del secolo XIII è parti­colarmente evidente l'impie­go di lettere cufiche nell'orna­to dell'archivolto nella figura di San Giacomo e nelle orla­ture della veste, dove è tutto un susseguirsi di lamlalife kaf alternati e speculari. Questa derivazione ornamentale pseudo cufica era già stata rile­vata negli anni Trenta da Giu­seppe Gabrieli che aveva scrit­to: “Notevoli, sono nel fregio di contorno, o cornice dipinta, d’ogni figura , qui come altrove (per es. Gravina nella  cripta di San Vito Vecchio) utilizzati e stilizzati, gli ele­menti alfabetici della lingua araba nella forma cufica corsi­va e fiorita”(G. Gabrieli,Inventario topografico e bibliografico delle cripte eremitiche basiliane di Puglia, Roma 1936, pp. 40-40).

Una replica del modello materano, che fa pensare alla mano comune di un ignoto frescante, è nella chiesa rupe­stre di San Vito Vecchio a Gravina con un puntuale ri­calco delle iscrizioni orna­mentali pseudo cufiche risa­lenti alla fine del XIII secolo- inizi del XIV.  Gli affreschi che sino al 1958 decoravano le pareti e la conca absidale della cripta sono stati staccati e rico­struiti nel Museo della Fonda­zione Pomarici Santomasi, sempre a Gravina. La gigante­sca figura del Cristo benedi­cente o Pantocrator è contor­nata da una fascia che presen­ta un motivo decorativo geo­metrico di lontana ascenden­za islamica, consistente in un nastro che, piegandosi a zig­zag, ottiene effetti stereome­trici, accentuati dalla vivace colorazione in bianco, rosso, blu; sulla parete sinistra, a par­tire dall'ingresso, si nota una sequenza di arcatelle con estradosso ornato da lettere cufiche, in particolare nelle figure di San Pietro (?), la pri­ma da sinistra, e di San Giaco­mo Maggiore, la terza da sini­stra, in cui è possibile rilevare un intreccio di lamlalife kaf.

Un'iscrizione similare si ri­scontra in un'altra chiesa ru­pestre della Puglia, quella di San Marco a Massafra: nell'interno, a tre navate, in una nicchia nella navata de­stra, c'è un affresco anch'esso risalente, come i due prece­denti, al XIII secolo. Nelle fi­gure rappresentanti i Santi Cosma e Damiano, parzial­mente perdute, e precisamen­te nella cornice ornamentale di San Damiano (la figura è quasi integra ad eccezione del volto) si dispiega una decorazione "di girali terminanti con fògjie vigorosamente delinea­te, inframezzate da caratteri cufici stilizzati, ad andamento angolare, quali si ritrovano in codici miniati del XII seco­lo".

 

 

Fedele RAGUSO

 

 

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