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Cultura ed Eventi

La cultura degradata nella città delle giostrine tra giochi innocenti e adulti incoscienti

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Il degrado culturale, morale, politico, vitale ed esistenziale è ancora più penoso se solo si pensa che la città è governata dal sindaco delle giostrine, un tempo giochi degli innocenti e ora degli incoscienti. Siamo sempre più  diretti e proiettati verso la caduta libera di un passato ancora gravoso e gravido di incertezze sul piano della propria identità storica. Qualche giorno fa è stato fatto riferimento ai beni perduti, non fruiti, non organizzati o non canalizzati nei vicoli del turismo sostenibile, globale e globalizzato. Oggi, pensando che potessero e dovessero meritare un discorso più approfondito, il dito nella piaga, nella ferita lo poggiamo sull’annosa vicenda degli affreschi di san Vito Vecchio, destinati, forse, a scomparire dallo scenario storico e culturale delle nostre ataviche ed indiscusse bellezze, come si evince dalle immagini allegate. Quegli affreschi salvati, restaurati e recuperati circa 60 anni fa, per sottrarli dal degrado, dalla fatiscenza ambientale, oggi versano in condizioni pietose, stando a quello che hanno sancito i medici della diagnostica, circa quattro anni fa. Dovevano essere restaurati, perché fosse frenata la inarrestabile corsa verso la loro definitiva distruzione o dissoluzione, e, invece, per colpa degli incoscienti: Amministrazione, Fondazione Santomasi, Soprintendenza, sono lì che languono, in attesa che qualcuno ne dichiari la morte sostanziale, effettiva, reale, chiamata perdita definitiva, irreparabile. Tutto ciò, come può essere definito? In una sola parola, degrado. Ovvero, scempio scientifico, cosciente e razionale. Perdita di coscienza e conoscenza mentale dei propri ruoli, delle proprie responsabilità, delle proprie capacità ad essere rappresentativi di un popolo, di una tradizione basata, costruita e vissuta sulla storia fattasi ricchezza per durare, per consolidarsi, per rimanere eterna ed eternata nelle future generazioni. Quegli affreschi, per una fortuita e fortunata coincidenza furono salvati, perché il proprietario dell’immobile e del terreno in cui insistevano, ignaro dell’importanza del prodotto contenuto, aveva pensato di abbattere il manufatto. Quella salvezza , forse, non è servita a niente, così come il doverli posizionare in un sito diverso dall’originario, cioè dove attualmente si trovano, non ha portato bene, tant’è che oggi necessitano ed urge l’intervento chirurgico plastico che li renda salvati e salvabili. Purtroppo, su tutta questa vicenda, senza voler essere pessimisti o superstiziosi, pesa una maledizione. Infatti, oltre al già raccontato, c’è da aggiungere qualche altro elemento e tassello mancante per ricostruire tutta la storia vera. La Fondazione Pomarici Santomasi, guidata dal ragioniere Vito Desiante, stava concordando l’acquisto del sito, con il proprietario, per un importo di 20.000 lire, come si evince dalla delibera del Consiglio Direttivo del 19 giugno 1955, dietro, anche, le sollecitazioni e le minacce che gli affreschi sarebbero stati trasferiti altrove arrivate dalla Soprintendenza ai Monumenti e Gallerie, nella persona del soprintendente, l’architetto Franco Schettini. Purtroppo, anche per  questo paventato acquisto non c’è stata mai traccia, tanto che la chiesa risulta ancora di proprietà privata, sia pure intestata ad altra ditta, quella che, all’oscuro dei tesori nascosti conservati nel sito religioso, aveva pensato di abbatterlo. Una fortuita coincidenza, il tempestivo intervento della Soprintendenza e dello Stato che, nel frattempo, avevano acquisito, quali beni demaniali, per pubblica utilità gli affreschi, questi potettero essere messi in salvo. Staccati dalle pareti, grazie a Cesare Brandi, trasferiti a Roma per il restauro presso il Centro per il restauro e solo dopo alcuni anni ritornarono a Gravina dopo aver vagato per mostre e possibili scippi a Bruxelles, Atene, Roma, Lecce, Bari. A tutt’oggi, il sito originario è ancora di proprietà privata, i beni sono di proprietà dello Stato, quello Stato ancora più insensibile, ancora più incosciente, ancora più ingrato di coloro che pensano ed agiscono avendo il pensiero e la mente come se ogni giorno fosse carnevale o l’ultimo giorno delle celebrazioni carnescialesche. Perché anche carnevale o solo carnevale, in questa città si chiama cultura.

Pinuccio Massari

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