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Storia, Uomini e luoghi

“MACCONECCIO” scacciare maligno

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I longobardi importarono nelle comunità italiche tutte le loro consuetudini profane e religiose. Quest’ultime assunsero vesti cristiane dopo la conversione al Cristianesimo e, ancor più, dopo l’adozione del culto di San Michele del Gargano. Ai pii longobardi, infatti, si devono diverse consuetudini, tra cui quella dell’uso dei “brandea – reliquie personali”, dei “ballunǝ - ostensori di reliquie”,  dei “macconecci - scaccia maligno”.

Gli abitanti della “contrada (rione) Fondovito” subirono la sovranità dei signori Longobardi sin dal IX secolo d. C. che avevano prediletto il sito gravinese e realizzarono un poderoso castello sulla piana della rocca che sovrastava le lame di “Piaggio” e “Fondovito”, già antropizzate intensamente  (tra III – IV secolo dopo Cristo), grazie alle tante cavità carsiche naturali esistenti. I  Longobardi si guadagnarono subito le simpatie e collaborazioni degli abitanti indigeni che apprezzarono e gradirono la costruzione del castello che li proteggeva, sposarono il culto di San Michele,  assecondarono gli interessi particolari per salvaguardare e incentivare le risorse territoriali.

Gli abitanti della città rupestre, che prese il nome “Gravina”, costituiva una comunità agro-pastorale e viveva esclusivamente di prodotti dell’agricoltura e degli allevamenti, oltre che da attività artigianali e di trasformazione connesse alle attività primarie.

La loro alimentazione era assicurata dalle farine di cereali, granturco, e, persino di ghiande e castagne, con cui realizzavano polenta ed impasti che cucinavano in acqua bollente, sul fuoco o in forno. Quei prodotti erano la loro vita, il frutto del loro duro lavoro e dei loro sacrifici.

San Michele Arcangelo aveva sostituito il culto della dea Cerere, divenendo il protettore principale dei contadini e delle loro coltivazioni. Preghiere, novene, processioni di penitenza, riti sacri in suo onore non erano sufficienti per tenere lontano il nemico (demonio) che si presentava come grandine, gelate, siccità, incendi. Il maligno si annidava tra e dentro i campi pregni di frutti da raccogliere. Per cui bisognava cacciarlo con azione umana diretta. Infatti, nei giorni di vigilia delle ricorrenze festive di San Michele 8 maggio e 29 settembre,  all’ora dell’Avemaria della sera, agricoltori,  pastori e buona parte della popolazione rurale si recavano nei campi per cacciare, secondo le loro usanze, le streghe e le incantatrici. Solevano suonare campane, campanelli, cembali, timpani, tamburi di rame, ed ogni oggetto rumoroso, urlando a squarciagola come forsennati la parola “macconneccio”, a “voler dire vai via maligno e lascia immune la “polenta (macco), i frutti (neccio)”. Con quel fiero baccano e con quelle voci e sicuri del sostegno di San Michele, speravano di mettere al sicuro da qualsiasi stregoneria i due cibi che formavano il loro nutrimento.

Questa particolare ed antichissima usanza, anche, gravinese si è persa nel corso dei secoli ma si è tramandata, per via orale,  di anziani agricoltori e pastori. Sopravvive presso alcune comunità delle Alpi Apuane delle province di Lucca e Massa Carrara.

 

Gravina 25 aprile 2016                                      Fedele RAGUSO

 

 

Commenti (1)
I falsi storici hanno ancora cittadinanza
1Lunedì, 02 Maggio 2016 07:45
Pinuccio Massari

Mentre la testata continua a sfogliare pagine dal libro scritto da Fedele Raguso sulla chiesa grotte di san Michele, mi permetto far rilevare come il titolo del libretto è falso. Sono in grado di documentarlo, a differenza di chi scrive libri di storia e non cita le fonti o non inserisce, come nel caso di specie, le note bibliografiche a cui ha fatto riferimento o da cui ha attinto le notizie, attraverso una fonte autorevole. Giorgo Otranto, docente universitario emerito, nonchè studioso e profondo conoscitore del culto micaelico, nel 2012, per conto dell'editore De Luca di Roma, ha pubblicato una ricerca, appartenente alla collana Santuari d'Italia, sui santuari micaelici di Puglia. La fonte è talmente autorevole che non da adito a confusioni e commistioni. La pubblicazione del professore Otranto, stilata secondo il criterio dell'ordine alfabetico dei paesi in cui si è ritenuto ravvisare di poter definire una chiesa dedicata all'Arcangelo Michele, santuario, non cita e non menziona la città di Gravina. Segno che quella chiesa, presente nella nostra città, non solo non ha mai avuto, per volere di qualche vescovo, il titolo di santuario, ma neanche gli storici seri e accreditati hanno trovato tracce di tradizioni orali o popolane che avessero potuto dar adito perchè la chiesa grotta di Gravina potesse essere stata definita santuario o assurgere ad un titolo, sia pure coram popiulo. Quindi, nè secondo l'artico 1230 del Codice di Diritto Canonico e nè per credenze e tradizioni popolari si è fregiata o è stata fregiata di un titolo importante. Il caso di san Michele delle grotte è analogo alla chiesa della Madonna delle Grazie. Anche questa, mai definita, attraverso documenti episcopali o per altre vie, santuario, nonostante qualcuno, compreso il Raguso, si ostini a definirla santuario, nel pieno di quelle che sono scorrettezze storiche, che solo falsi storici, mercenari e commercianti di notizie sono in grado di mettere in giro, quasi fosse merce comune da propinare, a buon mercato a chiunque. L'estensore di questo ultimo testo, smentisca e chiarisca il senso del suo dire. Citi le sue fonti, i documenti da cui si evincono certe notizie; i documenti che contengono queste notizie e dove sono ubicati, senza millantare e senza rimettere ad altri responsabilità che non hanno.


 




 


Per ragioni di spazio non sono state pubblicate le fonti. In ogni caso le ragioni delle notizie sono ampiamente registrate nel volume “Il culto di San Michele Arcangelo dal Gargano ai confini Apulo-Lucani” curato da G. Otranto, F. Raguso, M. D’Agostino – Bari 1990. In questo volume il Sig. Massari può trovare sia le fonti archivistiche, sia la bibliografia storico letteraria relative al culto di San Michele della grotta – Santuario di Fondovito.

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