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Storia, Uomini e luoghi

“BALLUNƏ” E “BRANDEA” A FONDOVITO

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Il dies festus Sancti Michaeli, dell’8 maggio, iniziò nell’idonea spelonca di Fondovito, dove i Longobardi ubicarono il culto del Gargano ed innestarono la festa che fu ereditata e tramandata dai “Fondovitiani”. Questi aggiunsero alla consuetudine del rito e manifestazioni religiose anche la nota etno-folcloristica, rappresentata dalla esposizione dei “ballunə e brandea” (singolare “ballounə”), lungo le scalinate che conducono alla grotta santuario.

 “Ballunə e brandea”, insieme costituiscono reliquie sacre portatrici di protezione e grazie del santo da cui provengono, permettono contatto, dialogo allegorico- metaforico tra San Michele e pellegrini.

Il termine dialettale Ballounə” degli antichi  Fondovitiani è da considerare un antico (gallicismo: inglese, germanico-francese “balloon”) con la funzione semanticadi “oggetto rigonfio a forma tondeggiante o rettangolare con espressività o comunicazione particolarmente importante in rapporto all'impiego che ne fa l’artefice”. Esso contribuisce, in modo determinante, a dar forza comunicativa e comprensione di un messaggio speciale. Si è accertato che trova familiarità ed origine nel “filatterio”: una delle strisce di pergamena (in ebraico tĕfillīn, «preghiere») recanti passi del Pentateuco, che gli ebrei portano chiuse in capsule di cuoio e legate con cinghie al braccio sinistro e al capo durante la preghiera mattutina feriale. L’uso trae origine dall’interpretazione letterale della raccomandazione biblica (Esodo 13, 9 e 16; Deuteronomio 6, 8; 11, 18) di legare le parole divine come segno sul braccio e ricordo tra gli occhi. Allo stesso modo i “Ballunə”di Fondovito costituiscono segni e voce di  “Quis ut Deus” (dell’Arcangelo Michele) e di Dio stesso. 

Nell’accezione moderna il “balloon” è dialogo, pensiero, grido, sussurro. Il “Ballounə” gravinese è allegoria o metafora del devoto pellegrino che dialoga con San Michele, implorando perdono e aiuto e lo ringrazia per tutto quello che ha beneficiato e per ciò che elargisce ai pellegrini che si recano alla sua grotta-santuario di Gravina.

La voce “ballounə” fa coppia con “brandea” e dichiarano con evidenza che trattasi di oggetti ritenuti sacri e santificati dai pellegrini che si recavano alla caverna-grotta di San Michele del Gargano.

I brandea erano considerati, a tutti gli effetti, vere e proprie reliquie, perché tutti i pellegrini bramavano possedere ad ogni costo un segno tangibile del proprio pellegrinaggio, un “pezzo” del luogo santo che con tanta fatica avevano raggiunto e nel quale si erano immersi fisicamente (Giorgio Massola, Pellegrini nel Medioevo. Camminare per devozione. Medagliette, stemmi, brandea e altro, in “Vita Casalese”… (25/6/2000) p. 9. 

Le reliquie dei primi cristiani (scrive Jonathan Sumpton in , Monaci santuari pellegrini. La religione nel Medioevo) non erano parti di corpi di santi, bensì semplici memento, oggetti che erano stati a contatto con il santo o la sua tomba. I pellegrini accostavano pezzi di stoffa o di carta alla tomba del santo e poi li consideravano reliquie del loro santo personale. I Romani erano soliti dividersi il sudario dei papi , tanto che la pratica durò sino al divieto fatto da papa Gregorio I. La gente comune, semplice ed ingenua riteneva quei pezzi di sudario (chiamati “brandea”) pari al corpo stesso del martire o del santo.

Gregorio di Tours (538 circa - 594) ci ha tramandato con chiarezza e semplicità  le modalità con cui i pellegrini conseguivano reliquie o brandea (fai da te). Egli scrisse: “ se si desidera portar via dalla tomba una reliquia, deve [il pellegrino] soppesare con cura un pezzo di stoffa e appenderlo all’interno della tomba. Poi pregare ardentemente e se la sua fede è abbastanza forte, la stoffa, una volta rimossa dalla tomba, si troverà ad essere così piena di grazia di Dio che sarà molto più pesante di prima».

Il pellegrino medioevale con il suo immaginario era convinto che il possesso o il contatto con oggetti provenienti dai luoghi santi producesse benefici materiali e spirituali insieme in qualche modo si è fissata ed è rimasta, quasi fossilizzata, tra le pieghe della moderna religiosità popolare. Don Vittorino Barale, sacerdote della Diocesi di Vercelli, ricordava e raccontava che da bambino, durante le sere trascorse nelle stalle, sentiva spesso narrare di una popolana di Pezzana che aveva fatto il giro delle chiese romane indossando contemporaneamente sette abiti, avuti da amiche che, non potendo partecipare di persona al pellegrinaggio, avevano pensato di far prendere un poco d’aria santa al loro guardaroba.

Nella mente del popolo di fine secolo XIX, la fede nei “brandea” era ancora radicata e sentita con profonda devozione e spiritualità.

L’antichissima festa di San Michele delle Grotte dell’8 maggio di Gravina si caratterizzava e si è caratterizzata con il rito religioso in onore del santo ma anche con la coreografia particolare ed unica dei “ballunǝ-brandea” sino agli anni ’70. La popolazione del quartiere sentiva quegli oggetti ondeggianti come presenza dell’Arcangelo svolazzante su di loro, e la loro profonda fede e convinzione la trasmettevano ai tanti pellegrini vicini e lontani che frequentavano il santuario del loro santo protettore.

Una anziana novantenne del rione Fondovito (intervistata nel 1973) affermò che i “ballunə ” erano costituiti, per lo più da roba che i pellegrini gravinesi, scambiavano con pii devoti, di Monte Sant’Angelo o indumenti portati da casa che rendevano reliquie con l’acqua e l’atmosfera sacra della grotta garganica. Erano reliquie confezionate nella grotta con il bagno nella sua acqua, con il contatto delle mura e della statua di San Michele, ritenuti segni tangibili del santo e del luogo santificato il 490 dall’Arcangelo Michele.

I “ballunə”, erano e sono costituiti da elementi principali: coperte, copriletti  di seta colorati con frange a ricamo e merletti particolari, lenzuola con ricami pregiati,  grandi scialli, grandi fazzoletti dai colori vivaci e particolari. Erano elementi costitutivi dei corredi posseduti dalle famiglie che si prodigavano per realizzare il migliore “ballounə” e sperare nella vincita del premio che si  metteva a concorso. Era una forma di santa ostentazione di povera-ricchezza, una gara fra tutte le famiglie, che si adoperavano per abbellire il quartiere, esercitando così una attrazione colorata, molto suggestiva e gioiosa. Gli elementi principali fanno da contenitori o supporto di elementi sacri detti “brandea”, vere e proprie reliquie.

Ogni contenitore principale viene steso o legato con corde benedette, che si legano ai balconi e finestre frontesanti per poter realizzare figurazioni a foggia diversificata per ostentare al meglio quanto si espone. Si realizzano: a baldacchino; farfalla; a cupola; a quadro.

Baldacchino:  il drappo (o altro elemento principale del ballounǝ) colorato viene legato ai quattro angoli con quattro corde tese, due per parte, a due finestre o balconi frontestanti, sospeso, di solito, ad un’altezza da terra di circa tre metri;

Farfalla: il panno è ripiegato su di un’unica corda, pur essa sempre sottesa ai due lati della strada, la cui parte centrale è sollevata con un fiocco, per costituire una forma di arcata di stoffa o farfalla sospesa a circa 3 nell’aria.

Cupola: la coperta o copriletto viene piegata in quattro e nello spigolo centrale si pone una pallina intorno a cui si stringe una corda che la sospende ad altra corda tesa tra due balconi opposti.  Una volta sistemata la coperta o altra stoffa si infilano cerchi con diametri differenti e si fissano ad essa tanto da formare una specie di cupola, dal cui interno pendono nastri, fozzoletti, indumenti consacrati a Monte Sant’Angelo;

Quadro: si realizza dove manca la possibilità di tendere corde di sostegno o supporto, per cui l’elemento principale viene steso e fissato sul parapetto del balcone dopo aver attaccato reliquie ed ex voto.

In tutte le tipologie realizzate, vengono appesi, cuciti o appuntati con spilli, vari capi ornamentali di vestiario femminile, quali fazzoletti colorati, scialli, sciarpe, velette, nastri e molti nastrini colorati detti “Ziaredde”, usati in passato per legare i capelli. Oltre a tali ornamenti di prammatica, troviamo regolarmente anche indumenti di neonati, o abiti bianchi da battesimo e da prima comu­nione delle bambine. Comunque, trattasi di oggetti consacrati come vere reliquie nella grotta di San Michele del Gargano.

La consuetudine dei “ballunǝ” si era quasi estinta con la morte o trasferimento delle anziane signore che l’avevano ereditata, mantenuta viva e tramandata. Per fortuna alcuni anni fa (2011-2013), la volontà di non dimenticare e la gioia di ripristinare quella particolare tradizione devozionale e folcloristica determinò l’entusiasmo di far rivivere al quartiere l’antica atmosfera creata da quegli addobbi speciali.

 

                                           Fedele RAGUSO

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