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Storia, Uomini e luoghi

LA FIERA SAN GIORGIO DEGLI ALLEVATORI E AGRICOLTORI

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Pubblichiamo la seconda parte degli studi e approfondimenti del Prof. Fedele Raguso che gentilmente ha messo a disposizione di questa testata giornalistica al fine di far conoscere alla comunità lo svilupparsi, negli anni, della Fiera San Giorgio.

Si diffida chiunque volesse riprodurre e diffondere le notizie in quanto sottoposte a copyright.

 

La maggior parte dei grandi appuntamenti economici nascevano in coincidenza di festività di santi protettori delle comunità istitutrici. I mercati o fiere assumevano la denominazione del santo e si organizzavano in concomitanza dell’anniversario stabilito dal calendario o dal martirologio cristiano. Così si onorava il santo e si  auspicava la protezione ed il buon successo commerciale ed economico.  Quando un mercato veniva riconosciuto  dalle autorità ecclesiastiche e governative laiche assumeva il titolo di Fiera e conseguiva benefici legali e fiscali, che assicuravano il concorso di allevatori, produttori agricoli, commercianti, banchieri. La fiera era regolamentata e gestita da figure istituzionali locali con particolari statuti e regole  per la organizzazione dei giorni e per lo svolgimento. 

Gravina aveva due appuntamenti commerciali: uno primaverile  nel mese di aprile (18 – 25); uno autunnale nel mese di settembre (29-30). Entrambi furono riconosciuti appuntamenti fieristici con precipue caratteristiche commerciali. Il mercato o fiera di primavera fu sempre il più importante .  

L’attuale Fiera Regionale di Gravina (già Fiera S. Giorgio dal 1294), prese il nome di San Giorgio, perché le attività commerciali  avvenivano nei pressi e nei dintorni della omonima chiesa.  Intorno alla chiesa-grotta ,  ubicata a ridosso di una chiesa-grotta, sita nella “ lama”, si svolsero i primi mercati, che si allestivano in occasione degli anniversari del martirio o della canonizzazione del santo. In quelle circostanze avvenivano pellegrinaggi e  incontri di devoti, vicini e lontani.

Il culto di San Giorgio nel Sud d’Italia fu diffuso proprio dai Normanni durante la conquista del Mezzogiorno d’Italia. Infatti, Goffredo Malaterra, cronista e biografo di Ruggero, detto il Gran Conte e, poi, primo re di Sicilia, racconta che il suo mecenate, quando entrò in Palermo, liberata dai berberi musulmani, ebbe la visione di San Giorgio su un cavallo bianco con il vessillo della vittoria: lancia, cartiglio bianco  con croce rossa e scritta : in hoc signo vinces.

Dopo quell’evento San Giorgio divenne il patrono e protettore di molti luoghi antropizzati e molte contrade, che presero come eponimo il suo nome. A Lui vennero dedicate molte chiese rupestri e molte altre furono costruite in suo onore. A lui si dedicarono appuntamenti commerciali di grande richiamo di mercanti, come quello di Gravina.

San Giorgio era il santo combattente contro il maligno più accanito dei deboli e dei cristiani. Combatte e annienta il drago, simbolo di ogni male, di ogni avversità. Il nome Giorgio “deriva da geos (terra)  e orge (coltivare), significa agricoltore,  per cui egli stesso, come la dea Cerere dei pagani, protegge allevatori e agricoltori.

La semantica agiografica di S. Agostino gli attribuisce altri significati ed altre funzioni protettive. Infatti risulta anche  protettore dei cavalcatori, degli armaioli, dei militari, degli  schermatori, della cavalleria, dei lebbrosi, degli Scouts.

Il leggendario e storico San Giorgio, fu un tal tribuno romano, di nome Giorgio, nato ia Lydda di Cappadocia (Asia Minore), che, scandalizzato dalle cruente persecuzioni contro i cristiani, si convertì al Cristianesimo, difendendolo anche con il sacrifico della vita.

Il suo mito è legato a due eventi significativi e leggendari. Il primo si concretizza nella città di Silena, in provincia di Libia, dove subì il martirio da parte dei pagani, nonostante avesse  ucciso il drago pestifero e liberato la giovane principessa, figlia del re di quella città. Il secondo evento è legato ai diversi supplizi atroci e decapitazione, a cui lo sottopose il prefetto Daziano, perché non volle abiurare la fede cristiana.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                  

I primi mercati agro-pastorali di Gravina si svolgevano intorno alla chiesa rupestre dedicata a Santa Caterina, sita nella Lama o canale Casale, in cui, sicuramente, esistevano affreschi raffiguranti San Giorgio. Detta chiesa si trovava sub divo in prossimità del luogo ove fu eretta la chiesa in onore di San Giorgio. Questa fu fatta costruire, molto probabilmente, da Aitardo normanno, fratello di Roberto il Guiscardo, divenuto I conte di Gravina dopo il successo dei Normanni nella battaglia di Civitate (FG) del 1054.

Il mercato annuale fu istituzionalizzata e regolamentata come fiera dai Normanni, fu vivacizzata e incentivata dai Cavalieri Templari, tramandata dai Cavalieri Gerosolimitani, perpetuata dai cittadini di Gravina con i privilegi dei re angioini, aragonesi e borboni.

Nel 1294 il conte Giovanni Montfort,  unitamente al sindaco e cittadini di Gravina  chiese ed ottenne dal re Carlo II d’Angiò il ripristino delle Nundine Sancti Georgi, cadute in disuso o addirittura sospese per molti anni.  
Lo stesso Carlo II ordinò con il suo privilegio il ripristino delle Nundine stabilendo che  esse si svolgessero nell’ampia prateria che si estendeva  intorno alla chiesa S. Giorgio, ove altri feudatari l’avevano istituita in onore del Santo, martirizzato il 23 aprile del 303 d. C., durante l’impero di Diocleziano. La prateria che accoglieva animali e commercianti si estendeva dal convento dei Cappuccini sino nelle vicinanze dei conventi di San Domenico e San Sebastiano

Le Nundine si svolgevano per 9 giorni, dal 18  al 26 aprile di ogni anno e venivano precedute da atti giuridici ed istituzionali  mirati:  nomina ed investitura del mastro di fiera; consegna al mastro di fiera degli atti giuridici, le chiavi della città, le aree e le infrastrutture predisposte per accogliere ed ospitare gli avventori. Il mastro di Fiera assumeva la carica amministrativa e giudiziaria della Fiera esterna della prateria e di quella interna alle mura della città avviava le attività commerciali e assicurava il buon svolgimento del mercato  fino all’ultimo giorno stabilito dal mandato ricevuto, quando consegnava i privilegi ricevuti nelle mani del sindaco e del feudatario della città.

Quell’antica e prestigiosa Fiera San Giorgio, oggi ha cambiato nome e caratteristiche, perdendo la primitiva  identità agro-pastorale con tutte le specificità commerciali: calmieratrice dei prezzi dei cereali e degli animali di ogni tipo; vetrina di alcune specie di cavalli, muli, mucche da latte, suini da carne.

Forse San Giorgio non condivide ciò che si è fatto e si continua a fare, e ha smesso ogni  suo sostegno e protezione, visto che la sua Fiera è diventato un ibrido e coacervo commerciale: occasione per lucrare a scapito della economia di allevatori e agricoltori e, soprattutto,  a danno della cittadinanza  che non consegue più i benefici e guadagni che assicuravano i tanti mercanti e turisti della Fiera Agricola.

A San Giorgio, piacerebbe, sicuramente,  che la sua fiera riprendesse l’ originaria tipicità per essere la vetrina più importante di un mondo agro-pastorale ecologico e biologico a Lui caro e alquanto necessario per la sopravvivenza delle generazioni che hanno abbandonato le attività dei padri.

 

Gravina, 12 aprile 2016                                                                                Fedele RAGUSO

 

            

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