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Politica

Lettera aperta al Prof. Raguso.

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Caro professore, sgombrando il campo da ogni equivoco, voglio precisare che non intendo entrare nel merito di tutta la vicenda. Lo faccio per risparmiarmi i normali e, purtroppo, inevitabili, conati vomito. Una cosa, però, non posso fare a meno di dirti e precisarti: l’errore di fondo è stato solo ed esclusivamente tuo. L’esserti fidato di un ragazzino inaffidabile, dimenticando che Gravina possiede una ricchezza di saggi antichi e popolari. Uno di questi è. “Vuò vedè u sceeme, mettici la coppele in chèpe”. Ancora, la saggezza popolare ti avrebbe indotto a riflettere su un altro proverbio, altrettanto ricco di contenuti e di morale: ‘Nmancanze de sineche, facerene a tete. Tutto ciò premesso, caro professore, non addebitare ad altri la colpa o le colpe se ti sei trovato a convivere con la povertà e la miseria umama e politica. Avresti dovuto sapere,  e fare tesoro, per le esperienze precedenti negative che hai accumulato, tuo malgrado, che i politici, o presunti tali, o meglio i politicanti di basso respiro e bassa lega, sono e resteranno immoralmente inaffidabili; immoralmente incapaci di avere coraggio; di assumere posizioni apertamente. Sono buoni soltanto ad alimentare imboscate, assalti vigliacchi e meschini, perché credono di essere o voler essere funamboli ed equilibristi. La politica è incapace di supportare la cultura; è incapace di essere altamente espressiva dei meriti. Bada ai metodi spicciolo, venali, di bottega. Ti eri illuso, caro professore, che l’antica amicizia con l’imparentata del sindaco ti avrebbe messo al riparo o ti avrebbe concesso protezione. Ti sbagliavi, ti sbagli e continuerai a sbagliarti se pensi e penserai che certe persone a te vicine, ma legate da ben vincoli di sangue , sia pure acquisito, ti avrebbero sostenuto,protetto, incoraggiato o avvantaggiato. Conosci molto bene certe situazioni e certe evoluzioni di incompatibilità di quelle persone, pronte solo a vendersi l’anima pur di ottenere garanzie, prebende, spazi, considerazioni, elemosine in nome di una pseudo cultura personalistica, fatta solo di presunzione e di megalomania. Speravi, cosa speravi? Hai sperato invano, perché la personificazione di certe istituzioni, senza personalità, senza spina dorsale, senza attributi, è quella che porta a voler vivere in pace, negli agi, senza avere problemi. Tu sei stato un problema per la città, proiettata a superare le tue meschinità, le tue guerre intestine, le tue battaglie di civiltà e di coraggio. Oggi, si pensa in grande e non in piccolo, come il tuo modo continua ad essere, perché non ti sei adeguato dinanzi alla crescita, alle prospettive per le quali molti stanno facendo o stanno tentando di far decollare questa città. Farla decollare. Questo è il loro sforzo. Per cui, non possono assecondarti; stare a seguire le tue beghe personali. Caro professore, sei fuori moda. Sei fuori tempo massimo; fuori da certe logiche, che, forse, tu, giustamente, definisci perverse, ma sono quelle di cui campa certa gente assurta dalla polvere all’altare. Non hai colto le novità che stanno piovendo da Roma, auspice l’onorevole D’Alema? Non hai colto le novità che stanno per arrivare, come manna, da Bruxelles, dall’Unesco? Ma certi amministratori, così chiamati secondo il volgo, ma non secondo la realtà linguistica e verbale della lingua italiana, possono stare a perdere il tempo dietro ad una persona che li distoglie dall’immane lavoro che stanno portando avanti, per dare un volto ad una città che l’ha perso da tempo, grazie alla politica, e che, ora, si pensa, sempre grazie alla politica, di restituire? Certo, le favole non sono solo quelle di Pollicino e Biancaneve, di Cenerentola, Cappuccetto Rosso o di Pinocchio. Collodi, Hans Christian Andersen, Fedro, Esopo, e i fratelli Grimm ma quelle che scrivono coloro che risiedono quotidianamente a palazzo di città per propinare all’opinione pubblica fumo e fiabe. Pupazzi e pupazzari insieme per il bene e nell’interesse della città. Tu, non rappresenti, caro professore, l’interesse della città; tu non vuoi bene a questa città. Le vuoi male, perché devi sapere che voler bene a questa città significa solo nascondersi, operare in silenzio, da vigliacchi e colpire a momento debito. Voler bene a questa città, mi hanno insegnato, che bisogna essere sciacalli ed avvoltoi, perché questa città ha solo bisogno di simili personaggi. Per cui, e concludo, caro professore, non ti dimenare più di tanto. Hai sbagliato. Non ci pensare più. Hai pensato di dare un valore aggiunto. Hai sbagliato. Mettiti la coda tra le gambe e prosegui per la tua strada, sperando che un giorno, sulla quale strada non incontrerai più i ricchi epuloni, ma i lazzari, i pezzenti, i miserabili, i mendicanti  ridotti a chiedere l’elemosina, a questuare. Cordialmente, Pinuccio Massari.

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