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Cronaca

La scuola, emergenza nazionale

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Prima gli italiani? Se davvero questo è il programma del governo sovranista, sarebbe urgente aggiungere, e a lettere cubitali, “prima la scuola”. La situazione, senza esagerare, sembra drammatica. Anche quest’anno mancano all’appello varie decine di migliaia di docenti. Il ministero ha annunciato l’assunzione di circa 60 mila insegnanti di ruolo, fra i quali 15 mila di sostegno, ma stenta a trovarli.

Nelle graduatorie alle quali si attinge almeno la metà dei docenti di ruolo sono infatti in via di esaurimento, mentre le graduatorie di istituto, che riguardano i precari, con alle spalle almeno tre anni di supplenza nelle scuole statale, restano bloccate.

Già l’anno scorso restò scoperta una cattedra su due: a fronte delle 57 mila assunzioni annunciate, solo il 43 per cento dei docenti venne stabilizzato, causa mancanza di aspiranti. Quest’anno però sarà anche peggio, visto che mancheranno altri 80 mila posti in seguito alle richieste di pensionamento anticipato per “Quota Cento”. Certo, il ministero ha previsto una serie di concorsi straordinari e ordinari, ma è difficile che vengano banditi entro l’inizio dell’anno scolastico.

E così di anno in anno si perpetua il disastro della scuola italiana.
Ci lamentiamo tanto che i ragazzi non si informino, che non leggano né libri né giornali? Il fatto grave è che non siano in condizione di partecipare in modo maturo al processo di formazione del consenso, o del dissenso. E ancora più grave che la nostra scuola pubblica italiana produca da decenni cittadini condannati alla serie b, c, d, addirittura per motivi anagrafici, a seconda della lotteria del luogo in cui vengono al mondo, e ancora peggio destinati all’illusione di potersi riscattare attraverso l’agorà virtuale dei social, unica possibilità a costo zero di prendere parte alla vita della nazione. 

La verità è che da almeno settant’anni la scuola ha perso in Italia la preminenza che le spetta in una vera democrazia moderna, fondata sui principi universali di libertà e eguaglianza. L’argomento rivoluzionario dovrebbe essere noto: vista la diseguaglianza dei beni distribuiti in natura, urge correggerla con la cultura, e cioè con l’istruzione e con la scuola, premiando il merito e favorendo il genio naturale che magari nasce in condizioni socialmente svantaggiate. È questa la funzione rivoluzionaria della scuola e di un sistema democratico di istruzione pubblica, che mira a creare cittadini responsabili e dunque una nazione responsabile del proprio destino. 
Averlo dimenticato, prima con la demagogia della contestazione, poi con l’ideologia parasindacale dei decreti delegati e infine con l’illusione dell’inutilità della cultura e della conoscenza, vista la crisi dell’autorità, la morte della tradizione e il trionfo conclamato dell’ignoranza è un danno irreversibile per tutti. E lo tocchiamo ogni giorno con mano, ahimè. Urge dunque tornare ai fondamentali e lanciare un piano credibile per affrontare in modo radicale l’emergenza scolastica. Come? Valorizzando innanzitutto i docenti, questi eroi civili che spesso lavorano nell’ombra, e lottano a mani nude contro il disastro. Stimolando i discenti ad apprendere un metodo, prima che delle nozioni, attraverso un sistema premiale e un processo di emulazione continua. E rinunciando, infine, a quella che è la vera piaga, la piaga mentale di molti italiani, e cioè il disfattismo che va a braccetto dell’ignoranza perché è convinto di sfangarla, comunque e sempre, mentre non fa che generare una nazione che non corre. Non ce lo meritiamo

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