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Cronaca

20 ANNI FA IL DELITTO LABIANCA. RIFLESSIONI DI UN RAGAZZO DI ALLORA

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Sono passati 20 anni dalla scomparsa di Maria Pia Labianca e dal relativo caso giudiziario, che sconvolse la città ed ebbe un’eco mediatica nazionale. Quando ero più piccolo, 20 anni mi sembravano tanti; ora che ne ho quasi il doppio, io che all’epoca mi accingevo a fare l’esame di Stato, mi rendo conto di quanto non sia tale lasso di tempo a essere lungo, ma la vita a essere breve, anche se in 20 anni molte cose possono cambiare e da allora sono cambiate. Oggi le notizie corrono più in fretta, ma questo purtroppo non equivale a vivere in una società migliore; il progresso tecnologico ha acuito alcune tendenze negative già presenti nel lontano 1999.

Quello di Maria Pia Labianca, diremmo oggi, fu un caso di femminicidio; un termine che all’epoca non esisteva nel linguaggio della cronaca. Ora se ne parla di più e di conseguenza si punta di più l’attenzione sul fenomeno, ma che era ben presente anche ai tempi. Di ciò, dicono le sentenze del processo, si trattò: una giovane donna uccisa dall’ex compagno perché aveva legittimamente deciso di non proseguire più una relazione.  A distanza di due decenni, andrebbe semplicemente ribadito questo: venne crudelmente spezzata una vita in nome di una visione distorta, violenta e criminale del rapporto di coppia. Tutto il resto appartiene al contorno delle squallide trame romanzesche rosa-nere che si sono volute costruire attorno, in nome dell’audience a tutti i costi.

Il caso non segnò solamente la storia di Gravina, ma costituì anche una tappa nell’involuzione mediatica sui casi di cronaca nera, in un’epoca in cui internet cominciava timidamente a diffondersi nelle case e i social erano di là da venire. Nel frattempo la tv si imbarbariva sempre più, attraverso la spettacolarizzazione della vita privata e del dolore, secondo una spirale di degenerazione che avrebbe preso da allora una china inarrestabile.

Come scrisse il giornalista Michele Serra su uno dei maggiori quotidiani, “quasi tutte le notizie concernenti Maria Pia rese note dai media (e dunque dagli inquirenti, loro fonte principale) sarebbero state impubblicabili, a norma di legge, se la ragazza fosse viva, e i suoi familiari indenni dal loro inimmaginabile lutto. Se ne deve dedurre che venire assassinati, ed essere genitori di persone assassinate, è qualcosa che indebolisce fino a polverizzarle le barriere che non solo la legge, ma perfino la solidarietà umana pongono a salvaguardia della dignità personale”.

I media fecero a gara nel vivisezionare impietosamente il privato della vittima, dando in pasto al pubblico particolari intimi e spesso inventati, dipingendola in modo infamante, e per reazione ugualmente stereotipata, come donna angelicata, mentre Maria Pia era semplicemente una ragazza come ce n’erano e ce ne sono milioni, assolutamente ordinaria nella sua fresca vitalità dei 20 anni. Una ragazza che aveva tutto il diritto di vivere, e che le fu tolto in modo atroce, infliggendo sofferenze senza fine ai suoi cari.

Gravina perse l’innocenza, e non perché città omertosa (come si disse a sproposito allora e venne ripetuto in casi successivi), giacché questa accusa vale solo per chi, pur sapendo, non parla, e non per tutta una comunità in blocco; ma perché si scoprì tutt’altro che provinciale “isola felice”, e in realtà immersa fino al collo nei disvalori e nelle aberrazioni della società consumistica del 2000, né più né meno di altre città. Se non ci fu omertà generalizzata, ci fu però molta ipocrisia: i presunti riti satanici dietro il delitto erano un subdolo depistaggio, ma esso venne alimentato dal chiacchiericcio compiaciuto e dal pettegolezzo diffuso. Tutte maldicenze che hanno contribuito a uccidere la vittima una seconda volta.

 Chi come me all’epoca era ancora un ragazzino, ricorda che la vicenda coincise grossomodo con lo svuotamento di piazza San Domenico, storico punto di ritrovo dei giovani gravinesi. Una coincidenza solo temporale, dovuta alla contestuale diffusione dei locali e dall’atomizzazione delle comitive, oltre che all’esodo crescente delle nuove generazioni, che vanno sempre più a studiare e lavorare fuori; ma anche per questo, da allora, Gravina mi sembra una città più vuota, più individualista, più spenta e più triste.

Francesco Mastromatteo

Commenti (2)
la provincia di allora e di oggi
2Mercoledì, 26 Gennaio 2022 11:10
Viola

Sono più o meno tua coetanea e eengo anche io da una città di provincia, da cui me ne sono andata da anni, ma confermo le tue parole "una città più vuota, più individualista, più spenta e più triste". Non si è fatto nulla per salvare le città d provincia, soprattutto del Sud. E credo anche io che ci sia stato un imbarbarimento rilevante negli ultimi 20 anni ma "coltivato" negli anni '90 quando i valori della mercificazione non si erano ancora diffusi ampiamente nella popolazione ma venivano pubblicizzati a tutto spiano dai media.

Diploma
1Lunedì, 25 Febbraio 2019 18:37
Franco CALCULLI

Condivido alla grande, caro Francesco. Le tue riflessione, sono condivise da quella parte di persone che ancora oggi hanno dei ideali, che non passano mai.

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