Cultura ed Eventi

come una sveglia che suona...

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Dal Vangelo secondo Luca (Lc 17,20-26)

In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C'era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne.
Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
«Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell'uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».

 

Alcune riflessioni:

Oggi, in un mondo verniciato di “confidenza”, manca fondamentalmente la fiducia, nella parola data, nei rapporti di lavoro così precario, nelle relazioni familiari, che si frantumano come costruzioni sulla sabbia non appena si tratta di eredità o di interessi individuali… e la Parola di Dio di questa VI Domenica del Tempo Ordinario ci offre subito un vero “programma di vita nuova”. L’evangelista Luca ci presenta le Beatitudini: «Beati voi, poveri... Beati voi, che ora avete fame... Beati voi, che ora piangete... Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi…»: ma, quando mai i poveri, gli affamati, i piangenti, i disprezzati… sono beati? È possibile mai chiamare maledetti coloro che sono ricchi, sazi, gaudenti e osannati? Felici, perché? Maledetti, perché? Per vivere la “beatitudine”, la “felicità” è necessario “staccare le mani dalle nostre false sicurezze, dalle nostre effimere felicità. Mi sovviene un racconto gustoso di Antony De Mello (“La preghiera della rana”). Un ateo scivolò e precipitò da una roccia. Mentre scivolava giù, le sue mani fortunosamente afferrarono un ramo di un alberello, rimanendo così sospeso tra cielo e terra. Convinto che non poteva resistere a lungo, ebbe un’idea: «Dio! Se ci sei, aiutami…Ti prometto che crederò in Te e ti farò conoscere agli altri!». Il silenzio fu rotto nel burrone da una voce possente: «Così dicono quanti si trovano in problemi seri e pasticci!». «No, no – disse il malcapitato – Io non sono come gli altri. Ti assicuro che te ne sarò grato per tutta la mia vita». Disse quella Voce: «Ok, ti salverò. Stàccati da quel ramo!». «Come?! Staccarmi da quest’unico appiglio che mi rimane? Non sono mica matto!!!». Anche nei momenti più cruciali della nostra vita, Dio e la Sua Parola sono le ultime cose che consideriamo sul serio. Le nostre avide mani sono magnetizzate dai beni e fragili sicurezze che abbiamo. Si ripropone la domanda, nel nostro caso: avere o essere per entrare…nella categoria dei beati? È certo che se ci costruiamo la casa unicamente tra i beni di quaggiù, siamo stolti! La nostra sveglia si era forse scaricata, Signore, e ti ringraziamo perché l’hai fatta suonare e squillare, perché il nostro sonno pingue e ‘beato’ ci stava rubando dal cuore la vera Felicità, che sei Tu.   Don Sante.

 

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