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Cultura ed Eventi

TARALLO TRA STORIA TRADIZIONI E COMMERCIO

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Filologia e Letteratura

Il termine tarallo e tutti i nomi derivati e alterati, indicano l’insieme dei prodotti alimentari confezionati con farina bianca tipo 00 e farina di grano duro tipo 0 impastate con acqua e svariati ingre­dienti, secondo proce­dure e usanze diverse (olio, strutto di maiale, vino bianco, semi di finoc­chio o di anice, acquavite, aromi piccanti).Ciambelle o ciambelline salate o dolce, tipiche del­l'Italia meridionale, In alcune città si realizzano taralli con peculiarità tipiche in ricorrenze festive come testimonianze di devozione alla divinità.

A Gravina in Puglia, infatti, vien confezionato un tarallo con farina bianca tipo 00, ricavata dalla molitura del grano tenero (maiorchǝ) e con farina di grano duro impastate con acqua, lievito madre, sale, semi di finocchio selvatico.

Tale pan - tarallo con tipicità del tutto gravinese, lo differenzia da quello simile dei Materani. Quel tarallo confezionato per devozione alla Vergine Immacolata si consuma il 7 dicembre, giorno di vigilia della festa dell’Immacolata Concezione, dopo l’osservanza del digiuno.  

Il campanilismo pugliese sostiene fermamente che il ‘tarallo’ sia figlio della creatività popolare di massaie di Puglia. Infatti, è documentato che influenzò, positivamente, anche il territorio pugliese e cambiò la produzione dei fornai di tutta la regione così come le tavole dei più poveri. Si realizzò con ingredienti d’emergenza facilmente reperibili, prodotto in massa, venduto a tutti a prezzo bassissimo. Col tempo tutti impararono a realizzarli e le massaie iniziarono a mettere i loro impasti in tegami oliati, le prime “tielle”, e portavano a cuocere i taralli nei forni a legna. Tra il XVIII e XIX secolo ci furono miglioramenti e perfezionamenti. Il tarallo oltre essere cotto al forno, per donargli quel retrogusto affumicato caratteristico, venne anche a lessato, prima di essere infornato, per renderlo più croccante e particolare: I taralli si ingentilirono, man mano, con l’aggiunta di spezie per insaporirlo o farlo diventare dolce da dessert: i classici semi di finocchio, infusi di anice, vino bianco di uva moscata, vincotto, miele, tritati di mandorle, semi di melegranate, di tritate, di peproncini piccanti, di aglio.

Il Grande Dizionario della lingua italiana, curato dal Battaglia, e i dizionari Etimologici (DEI, DELIN), trattano la voce “tarallo” e attestano i significati e le aree geografiche di probabile nascita e maggior diffusione.

Tutti sono concordi nell’ammettere che è una voce del meridione italiano (in Sicilia taraddu, ad Otranto taraddi ciambella biscottata) e, nello stesso tempo concordano che il suo etimo è ancora sconosciuto. Le ipotesi proposte sono: 1 - (la più attendibile) ritiene ‘tarallo’ derivato dalla voce greca “daratos” specie di pane rotondo; 2 - dal latino “torrere” abbrustolire; 3 - dall’italico “tar” avvolgere; 4 - dal francese antico “danai” pane rotondo, 5 - dal francese “toral” essicatoio. Il lessicografo Francesco Gugliemotti afferma: “ tarallo …è detto così dalla tara del peso, tanto che si riduceva a gallette”.

 Non conoscendo bene la sua radice etimologica rimangono, comunque, dubbi anche sulla terra d’origine, sugli iniziali ingredienti che lo componevano, sulla primordiale ragione di nascita.

A conforto di tali incertezze di natura scientifica filologica e storica si tramanda una leggenda che sostiene l’antichità e povertà della ricetta, inventata da una mamma,che realizzò i taralli per sfamare il proprio figlio in un momento di carestia. “Era il XV secolo, nelle dispense pugliesi non mancavano mai la farina, l'olio ed il vino. Ed è proprio con questi tre soli ingredienti che quella mamma premurosa impastò i primi taralli della storia. Ben presto quella ricetta e invenzione si diffuse ed in tanti cominciarono a preparare gli anellini deliziosi, specialmente, in tempi di carestie …”.

Quella leggenda la si vuole, come si è già detto, appartenente alla Puglia del XIV secolo, quando tutta la regione fu colpita da carestia e dalle invasioni di locuste e topi che divoravano ogni prodotto.

Il Battaglia, consolida tale campanilismo riportando un significativo passo degli “Statuti marittimi dell’Università di Biscegle”, in cui è riportato il termine ‘taralli’: “ … Lo comparatore di questo dazio abbia da exigere per omne rotulo de pane tanto de mundo come de grosso, cavallucci dui, intendendosi in questo cuculi canini biscotti friselle taralli”. Il documento è databile tra il XIV e XVI secolo, mentre la tradizione storica biscegliese lo fa risalire al 1063. Al di là della precisa datazione si sa per certo che il termine ‘tarallo’ è attesto sin dal XIV secolo come è documentato nello “Stati (statuti) marinari di Ancona”, datato con certezza 1397. La notizia fu resa nota dal lessicografo Guglielmotti (citato nella bibliografia del Battaglia), che pubblicò l’attestazione della voce ‘tarallo’ come biscotto o frisa.

La voce ‘tarallino’ è attestata dal 1880 dal Ranieri (in Battaglia) : “Dei cosidetti tarallini (piccole ciambelline) zuccherati, non parlo”; la voce ‘taralluccio’- dolce tarallo – è documentato dal Del Tufo nel sec. XVI (in Battaglia): “ … con un cavalluccio, si compra il taralluccio”. Cavalluccio lo troviamo citato in Levi: “Su un banco vedevo gli anelli modesti dei tarallucci pepati …”; in Jovine : “Si misero d’accordo e fecero mischiare dalle loro donne al caffè, al rosolio e ai tarallucci, un infuso di foglie di senna e olio di mandorle  (in Battaglia).

 

              Fedele RAGUSO

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