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Centenario di Vittorio Veneto: Gravina ricordi degnamente i suoi caduti
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31 Ott 2018
- Pubblicato Mercoledì, 31 Ottobre 2018 17:07
- Scritto da LA REDAZIONE
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Quest’anno ricorre il centenario della vittoria italiana nella Grande Guerra, ancora oggi ricordata dalle persone più anziane come “guerra del ’15-‘18”. Una pagina tragica e insieme gloriosa della nostra storia, che vide finalmente tornare riunificate alla Patria, sia pure a un prezzo altissimo, le terre irredente di Trento e Trieste, tanto che la storiografia parla a proposito della partecipazione italiana alla Prima Guerra Mondiale, di una sorta di “quarta guerra d’indipendenza” nazionale.
Come ha scritto il giornalista e storico Lorenzo Del Boca, “un’intera generazione venne spazzata via. Figli del Meridione, contadini poveri, braccianti, piccoli artigiani, quasi per metà analfabeti, giovani di vent’anni che furono strappati alle loro famiglie e alla loro terra e mandati a morire in lande remote, tra montagne da incubo e pianure riarse. […] Finirono a decine di migliaia nelle trincee, stretti nella morsa del fango e del gelo, sotto una pioggia perenne di bombe […] Vennero massacrati sull’Isonzo e a Caporetto, combatterono con disperazione e con valore sul Piave, lanciati da ufficiali balordi o criminali contro un nemico che non conoscevano e che non avevano motivo di odiare. Conobbero la paura, la morte, l’eroismo. Erano i nostri nonni, i nonni del nostro Sud». Tra di essi, anche il mio bisnonno omonimo Francesco Mastromatteo, calzolaio, che però ebbe la fortuna, dopo essersi anche comportato bene al fronte, di tornare sano e salvo a casa, dove lo aspettava sua moglie Vincenza e il piccolo Domenico, mio nonno, nato durante la guerra.
Come per un’eterogenesi dei fini, o se vogliamo, manzonianamente, per “provvida sventura”, fu nelle trincee di quel conflitto, forse più che per la riconquista delle “terre irredente”, che cominciò finalmente a formarsi il popolo italiano, lasciato in larga maggioranza, specie al Sud, estraneo alle vicende risorgimentali. Contadini veneti e calabresi, piemontesi e siciliani, lombardi e pugliesi fianco a fianco nella dura e drammatica vita quotidiana della guerra, fatta di stragi e privazioni, impararono a conoscersi, sforzando di capirsi tra di loro in un’epoca di diffuso analfabetismo, quando la maggioranza della popolazione parlava il dialetto più che l’italiano, decenni prima della scolarizzazione di massa e della televisione. Dal sangue e dal fango di quelle trincee è nata l’Italia contemporanea, con le sue luci e le sue ombre, i suoi primati e le sue tragedie.
Anche Gravina, come tutto il Sud, fornì un notevole apporto di sangue alla causa dell’Italia, come ci ricorda ancora oggi il monumento ai caduti sito al centro della villa comunale, opera dell’artista lombardo Angelo Galli, con cui la nostra città volle onorare le centinaia di suoi figli caduti al fronte. Purtroppo, come si può notare osservando la scritta che commemora i caduti gravinesi, alcune lettere risultano rovinate a causa dell’incuria e del tempo, che ha lasciato i suoi segni inesorabili sul monumento.
Come cittadino, come pronipote di un combattente e reduce gravinese della Grande Guerra ritengo sia opportuno che le istituzioni amministrative e culturali di questa città si adoperino perché, nell’imminenza del secolare anniversario della vittoria del 4 novembre, la scritta venga restaurata, e più in generale si dia, tramite opportune manifestazioni e iniziative, il giusto risalto e ricordo ai tanti gravinesi morti, assieme ad altre centinaia di migliaia di italiani, per completare l’unificazione della Patria.
Francesco Mastromatteo