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MOLINI E PASTIFICI …UN PATRIMONIO EONOMICO CHE FU! (prima parte)

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Il geografo Lorenzo Giustiniani (GIUSTINIANI L. Dizionario Geografico ragionato del Regno di Napoli, ivi 1802, p. 107) ci tramandò un quadro economico della città di Gravina del secolo XIX elencando i prodotti più emblematici delle attività agro-pastorali. . Il geografo aveva raccolto notizie da fonti letterarie antecedenti alle sue indagini con cui potè asserire con certezza che Gravina fu produttrice di grano, di paste, di latte, di formaggi, di dolci e non solo. Egli scrisse: “Una delle massime industrie (di Gravina) è quella dei formaggi che vi riescono assai saporosi e specialmente i cacicavalli che fanno di una figura rotonda, appellati melloni o palloni, sono squisitissimi … L’industria degli animali è grande e le razze dei cavalli si considerano le migliori della Puglia … Le paste che lavorano di fina semola son pure ottime e finalmente vi lavorano un delicato Torrone e sonovi più fabbriche di vasellami che danno a quella popolazione un altro capo di guadagno…”.

Gravina da terra del grano divenne anche terra di molini e pastifici. La prima testimonianza che fa menzione della voce molino è racchiusa in un documento del 1091, quando Umfrido normanno, signore di Gravina, ricostituì la diocesi gravinese. Per tale circostanza donò al vescovo e agli ecclesiastici l’uso gratuito del suo molino e il diritto di poterne costruirne uno per uso della Mensa Vescovile e degli ecclesiastici, esonerati per sempre dalla “gabella della farina” che avrebbero dovuto dare al feudatario di turno o alla Università.

Da fonti successive sappiamo che nella vallata della Gravina esisteva un molino azionato dalla forza dell’acqua, appartenente ai beni feudali. Il già citato Virgilio De Marino (1608), tabulario, registrò tra le proprietà e diritti del feudatario c’era anche un molino: “  Lo molino et battendiero ho ritrovato che siano due case  poste dentro la valle detta la gravina in una delle quale è una pila con martelli per voltare li panni et nella altra casa piu abasso a detta valle è una macena, quale battendiero et molino non se affittano tutto l’ anno perché non hanno acqua ordinaria da lavorare ma lavorano alcuni mesi del anno con acque piovane et lavorano quando ppiu et quando meno, secondo sono le piogie poi che delle piogie come si è detto di sopra fanno empire una conca detta la pescara et de poi piena spilano et mentre dura quella acqua lavorano detti molina et battendiero …”. Lo steso De Marino annota con precisione che oltre al molino ad acqua c’erano molti centimoli: …”. Vi sono ppiu di sessanta centimoli dove si fa la macina per non esserci fiumi dove fossero molini d’acqua, vi sono 12 forna deli quali sette ne cocino che capeno circa tomola trenta et coceno quattro e cinque volte lo dì…”. Queste informazioni ci dicono che si macinavano molti quintali di grano, le cui farine venivano trasformate, soprattutto, in pane per sfamare una popolazione di oltre 7.000 abitanti residenti in città.

Nella stima del feudo gravinese stilata dal notaio Gallucci (1686) per la “Compra del Feudo di Gravina” si trova una chiara presentazione del Molino e Battendiero, dismessi nel 1629, ma ancora in grado di essere ripristinati magari con altre costruzioni nuove per incentivare l’arte molitoria e conseguire i relativi vantaggi.

L’Università (Comune) di Gravina sin dalla sua Istituzione amministrativa in epoca angioina eresse un suo molino per soddisfare le esigenze di tutta la popolazione meno abbiente, per costituirsi un’entrata sicura come “gabella della farina” e, soprattutto per non confliggere con gli interessi dei vescovi e dei feudatari pro tempore. Infatti in “Via Fungarola” extra moenia nei pressi del convento di San Francesco c’era un molino, realizzato dall’Università per svincolarsi dalle pretese dei feudatari angioini e orsiniani. Quel molino era costituito da ruote di pietra (macine) collegate mediante asse di legno che passava nel loro foro centrale e contemporaneamente nel sistema girevole posto al centro della vasca in cui avveniva la triturazione. L’asse che muoveva le macine era spinto da forze umane o da asini. Nella immediata vicinanza di “Via Fungarola” abitavano i mugnai e gli addetti alla funzionalità del molino comunali, che si erano uniti nella “Cooperativa Paranza Vigilanza”. Quella “Cooperativa” è ancora testimoniata e ricordata dal toponimo di “Via Paranza Vigilanza”, che soppiantò la vecchia denominazione di “Via Fungarola”.

 

                   Fedele Raguso 

Commenti (1)
Una domanda
1Venerdì, 26 Ottobre 2018 07:49
Pinuccio

Ma via Fungarola non fu soppiantata? Non è stata mai soppiantata, magari spostata, visto che è ancora esistente nella toponomastica cittadina?

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