Politica

Città, politica, religione e fede parallelamente divise e lacerate

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Spenti gli echi della festa patronale, durante la quale la città ha ritrovato serenità, partecipazione, calore umano, affetto, sintonia con i propri valori, quelli di sempre; c’è bisogno che quel clima perduri. Non è che deve essere sempre festa o fare sempre e solo festa. Della festa bisogna saper cogliere il meglio. Bisogna, cioè, saper conservare quello spirito di unità e di coesione che manca durante i restanti 364 giorni dell’anno. C’è bisogno di recuperare la serenità politica e religiosa. E’ necessario che in un clima di armonia di valori e sentimenti, la città non continui a riconoscersi nella politica dell’affanno, dell’arrancare, del tirare a campare. Che la città si riconosca e si rinnovi nella politica pura e semplice, non contrastata, non contrastante, non divisiva, non lacerante, né dispersiva di quelli che devono essere gli obiettivi per una convivenza non traumatica e né pesante, ma alleggerita dal confronto, dal dialogo; dall’apertura alla comprensione dei bisogni reali e non spiccioli della gente e né opportunistici, a livello personale, da parte di quella politica spendacciona ed improduttiva o solo menzognera ed affaristica. Viceversa, la città similmente, sul fronte religioso, paradossalmente omogeneo od omologato a certa politica, deve recuperare fiducia e credibilità nei ministri e nel ministero sacerdotale di chi rappresenta o non può rappresentare solo se stesso, sia essa gerarchia o piccolo gregge o piccolo clero, ma la totalità di una fede integrale, autentica, genuina, poggiata sul Vangelo, sulla Dottrina, sul Magistero. La città dei popoli, religioso e politico, che si deve  integrare nella distinzione dei ruoli e di carismi, ricercando sempre e comunque il modello di verità comune nella nobiltà dei gesti, dell’operatività e della operosità. Auspicare, sognare una città credibile sul piano dei rapporti umani non è chiedere il coraggio dei lupi, ma quello della specie umana: razionale, ragionevole, convincente, educativo, espressivo di una missione da compiere per evangelizzare e convertire sul piano più strettamente religioso. Il mormorare rumoroso o silenzioso, nascosto, occulto, ipocrita non ha fatto bene alla città arroccata nel vantare arrogantemente privilegi di casta, primogeniture, diritti. Ha fatto male e i risultati devastanti  sono sotto  gli occhi di tutti. Perciò i due mondi, i due pianeti della convivenza civile si devono predisporre a nuove strategie. Preti, laici, politici, politicanti, mezzi preti, bigotti ed anticlericali devono tendere a farsi apprezzare e non a farsi odiare. Devono tendere e saper mettere in campo le energie migliori e non i migliori difetti innati o covati alla sorgente dell’odio, del rancore, del disprezzo reciproco e della insubordinazione. Se in una città, stranamente, ma non tanto, la politica, come da sempre, lascia a desiderare e, poi, al tanto peggio della politica si accosta o si unisce la facciata di una Chiesa inesistente, latitante, insignificante, litigiosa, pervasa dal culto personalistico della supremazia e della sopraffazione, non ci può essere unanimità di cuori che cantino e vivano all’unisono; dei cuori che vogliono e rivendicano il giusto equilibrio, il giusto peso nella economia di una presenza chiamata testimonianza. In una sola parola la città rappresentativa delle sue istituzioni, civili e religiose, deve abituarsi a costruire la città della saggezza, della prudenza, della giustizia, della fortezza, della temperanza, del pudore e della dignità. Del silenzio quando ci vuole e non del frastuono propagandistico, che infastidisce, che danneggia.

 

Giuseppe Massari

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