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Cultura ed Eventi

Gli affreschi di San Vito Vecchio. Gravina - Bruxelles andata e ritorno Sessant’anni dopo 1958 - 2018

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Il 2018 è nato sotto il segno e all’insegna della cultura. Infatti, è stato proclamato anno europeo del patrimonio culturale. Un anno per scoprire il nostro patrimonio culturale, in tutte le sue manifestazioni materiali, immateriali e digitali,quale espressione della diversità culturale europea ed elemento centrale del dialogo interculturale. Un anno per riflettere e dialogare sul valore che il patrimonio culturale riveste per la nostra società e per mostrarne a tutti l’importanza nei diversi settori della vita pubblica e privata. Un anno per godere del nostro patrimonio imparando ad averne cura. Il patrimonio racconta storie, viene costantemente reinterpretato, è in continua evoluzione. Qui, il discorso diventerebbe lungo e preferiamo superarlo, per non incorrere in polemiche su quello che non è stato fatto e doveva essere fatto, circa la tutela, la salvaguardia il recupero dell’immenso materiale storico culturale di cui la città era ricca o più ricca dell’attuale, se è vero che molte bellezze, molto di quel patrimonio artistico è andato distrutto; è stato corroso, non solo dal tempo, ma dalla incoscienza di tanti uomini, di tanti amministratori, responsabili della cosa pubblica. Pensiamo e fermiamoci alla ricorrenza dei 60 anni, quando, i nostri affreschi volarono a Bruxelles, per approdare all’interno dell’Expo che si tenne nella capitale belga da aprile a novembre del 1958, anche se il padiglione italiano, dove furono sistemate le nostre pitture murarie, aprì i suoi battenti inaugurali l’8 maggio successivo. Freschi di stacco e di restauro, curati dall’Istituto Centrale del Restauro di Roma, sotto la guida di Cesare Brandi, furono esposti a partire dall’8 maggio di quell’anno. Una fortuita e provvidenziale ricorrenza, se solo si pensa che quel giorno, Gravina, era impegnata a festeggiare il suo santo patrono, San Michele, nella sua prima cattedrale, nella sua chiesa rupestre, ricca anch’essa di molti affreschi, purtroppo, non più fruibili. I nostri gioielli, i nostri capolavori, i nostri tesori riscossero un successo di pubblico, come è confermato dalle cronache e dalla stampa dell’epoca. Staccati nel 1957 dal sito originario, dopo che nel 1954, lo Stato, li aveva acquisiti alla sua proprietà; dopo circa un anno di restauro, Cesare Brandi, fautore della tecnica dello stacco, riempì di orgoglio se stesso e la nostra città, portandoli all’attenzione mondiale ed internazionale. Tra l’altro, Brandi, osteggiato nella sua teoria, ebbe modo di riscattarsi. Ebbe modo di accreditarsi e di vantarsi per la buona riuscita dell’esperimento effettuato non solo a Gravina, ma, anche, nel Salento, a Poggiardo. Da quell’8 maggio sono trascorsi 60 anni. Forse, velocemente, inaspettatamente ed inconsapevolmente, tanto che nessuno o pochi se ne sono ricordati. Tra questi noi, per vantare il nostro legittimo orgoglio, soprattutto, non solo perché i nostri affreschi sono tornati all’attenzione degli esperti per i possibili, necessari, urgenti  interventi di restauro, quanto, anche, perché la loro memoria è stata immortalata di recente, in una pubblicazione curata da Lucia Masina: “Vedere l’Italia nelle esposizioni universali del XX secolo: 1900 – 1958. Atti della Summer School EXPOsizioni”, Milano 2016. All’interno di questo ricco e corredato volume, c’è il capitolo riservato all’Expo di Bruxelles e il paragrafo: “La nostra presenza artistica e l’Istituto Centrale per il Restauro”, in cui viene citata “l’avventura” positiva che fu riservata ai nostri affreschi e l’immagine di essi all’interno della padiglione dell’Italia. In virtù di quel memorabile successo, di quel vasto consenso di pubblico che riscossero, forse, è giunta l’ora di chiudere il discorso. Pensando a quelle immagini o andando con la fantasia e il pensiero a quei giorni irripetibili e, forse, non sufficientemente descrivibili, se non altro perché non c’eravamo, dimenticando, per pudore e per rabbia, la contemporaneità pietosa e vergognosa dei nostri giorni, affidiamo alla storia i nostri pensieri; consegniamo ad essa, ancora, quei frammenti di auspici e quelle  briciole di  speranze, che, forse, e nonostante tutto, è necessario coltivare, non spegnere.

 

Pinuccio Massari

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